Come rendere le manifestazioni accessibili per le persone con disabilità

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Per una persona con disabilità, uscire di casa e spostarsi per la città richiede spesso molti sforzi e un costante ricalcolo mentale delle condizioni che presenterà l’ambiente circostante che potrebbe non risultare accessibile, potrebbe rivelare delle barriere architettoniche impreviste, potrebbe non essere pensato (e molto spesso non lo è) per venire incontro ai suoi bisogni. Questo succede sia che si tratti di uscire per fare la spesa, sia che si tratti di andare a una conferenza, di uscire a bere un caffè o di andare a una manifestazione. “Organizzare un corteo senza chiedersi se sia accessibile e senza renderlo tale, significa escludere le persone con disabilità”, spiega a Elle Marta Migliosi, persona con disabilità, attivista e militante nei movimenti antiabilisti e femministi, “ma soprattutto significa non considerare le persone con disabilità come soggetti politici parte delle lotta, qualsiasi essa sia”.

Una persona con disabilità potrebbe voler partecipare a un corteo per far valere i propri diritti in quanto persona con disabilità, ma anche manifestare contro il razzismo o contro la violenza sulle donne, eppure non sempre questo risulta possibile. Nel 1989, l’avvocata femminista Kimberlé Williams Crenshaw ha coniato il termine “intersezionalità” proprio per indicare la condizione di quelle persone che si trovano nel punto di intersezione tra più forme di oppressione (ad esempio una donna nera, o una donna con disabilità, o una persona disabile e omosessuale) e che rischiano per questo di vedere la loro condizione ignorata sia da chi si batte per i diritti delle donne, sia da chi lotta contro il razismo (Crenshaw parte proprio dall’esperienza delle donne nere) e via dicendo. Secondo Crenshaw i sistemi di oppressione si intersecano tra loro, le cause delle varie forme di oppressione si intersecano tra loro e per questo anche le lotte dovrebbero essere trasversali, intersezionali. “L’intersezionalità”, scrive Crenshaw, “richiama l’attenzione sulle invisibilità che esistono nel femminismo, nell’antirazzismo, nella politica di classe, quindi, ovviamente, ci vuole molto lavoro per sfidare costantemente noi stessi a prestare attenzione ad aspetti del potere che non sperimentiamo noi stessi”. Se oggi si parla di più di accessibilità nei cortei è anche perché l’approccio intersezionale è stato fatto proprio non solo dal movimento femminista, ma anche da altri movimenti per i diritti civili come quello LGBT+. Si tratta, però, ancora di un percorso in divenire.

Sforzi e difficoltà

“Cerchiamo di migliorare continuamente”, spiega Milena, attivista di NUDM, “È già da tre o quattro anni che, come Non Una di Meno, abbiamo cercato di aprire al maggior numero di persone possibile l’accesso ai cortei iniziando a informarci su come farlo, collaborando con Disability Pride Network e prendendo come punto di partenza le linee guida che Simone Riflesso, attivista con disabilità ha sviluppato tramite dei focus group insieme a Grazia Di Sisto di Progetto Tiresia. Mappiamo i nostri percorsi, facciamo dei sopralluoghi per indicare i bagni accessibili, i (pochi) bar accessibili, per chiedere agli esercenti la disponibilità dei bagni, per individuare le fontanelle e i dislivelli lungo il percorso. Contattiamo anche l’ATAC per verificare i montascale funzionanti alle fermate e abbiamo anche comprato una pedana due anni fa, perché Roma non è per nulla accessibile!”.

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“Per noi l’intersezionalità delle lotte è cruciale, anche se comporta fatica”

Gli aspetti da considerare, quindi, sono molti, riguardano tutti i tipi di disabilità e non mancano le criticità, specie se si considera la scarsa accessibilità delle città stesse. Le difficoltà sono emerse in particolar modo l’anno scorso quando, il 25 novembre, circa 500.000 persone hanno partecipato alla manifestazione organizzata da Non Una di Meno a Roma per la Giornata per l’eliminazione della violenza contro le donne. Nei giorni successivi Marta Migliosi insieme alla ricercatrice e attivista con disabilità Asya Bellia, ha diffuso una lettera aperta per sottolineare come quel corteo non fosse accessibile e molte persone con disabilità avessero dovuto rimanere a casa. “I dati ci dicono che le donne con disabilità subiscono il doppio delle violenze e delle molestie delle donne senza disabilità e che fanno molta fatica a uscirne perché spesso la persona violenta è anche il loro caregiver”, spiega Migliosi, “Io faccio parte di un collettivo femminista e avrei voluto partecipare alla manifestazione del 25 novembre, tuttavia ho scoperto che non era accessibile, nonostante avessimo mandato mail e sollecitazioni. L’accessibilità dovrebbe essere vista come un mezzo, con l’obiettivo di portare in piazza le persone. Mi è sembrato invece che noi donne con disabilità non fossimo proprio considerate come interlocutrici. Per questo ci è venuta l’idea della lettera, per creare un precedente e dire ‘Da ora le cose devono cambiare’”.

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La lettera è circolata molto, è stata firmata da circa 200 persone e ha, come spiega Migliosi, “aperto un vaso di Pandora”. “Ci è voluto parecchio tempo perché rispondessero, anche solo per dirci che gli serviva tempo per discuterne”, racconta, “poi Non Una di Meno ha organizzato una chiamata online con le persone che avevano firmato. È iniziato un percorso, ma siamo ancora all’inizio: la decostruzione dell’abilismo non avviene in un giorno, serve formazione e un costante confronto con le persone con disabilità. È importante ascoltarle, e non solo sui temi che riguardano la cura, ma anche sull’accessibilità dei Cav e delle case rifugio, ad esempio. Bisogna iniziare a porsi delle domande, a pensare all’accessibilità come un fattore politico imprescindibile su cui non scendere a compromessi”.

“La decostruzione dell’abilismo non avviene in un giorno, serve formazione e un costante confronto con le persone con disabilità”

Migliosi osserva che quest’anno la manifestazione del 25 novembre è stata effettivamente resa più accessibile. “Dopo la lettera abbiamo accolto le critiche”, spiega Milana di NUDM, “è stato necessario aspettare i tempi tecnici dovuti al fatto che dobbiamo sempre confrontarci a livello nazionale prima di dare una risposta ed è un processo lungo. Poi abbiamo deciso di parlare con Marta e chi ha firmato la lettera in un’assemblea pubblica online che è stata emotivamente molto forte e in cui ci siamo messe molto in discussione”. Anche per Milena si tratta di un percorso: “C’è sempre almeno una compagna di Disability Prida Network alle assemblee settimanali e con loro e con altre realtà come Fondazione Tetrabondi, stiamo cercando di migliorare sempre di più il nostro approccio. Ad esempio quest’anno abbiamo messo a disposizione anche delle golf car durante il corteo per chi ne avesse bisogno. Un altro aspetto è legato alle assemblee: a Roma non riusciamo a garantire sempre le assemblee miste, sia in presenza che online, perché spesso negli spazi occupati non abbiamo la tecnologia che lo consenta, ma ci stiamo lavorando in modo da poter far accedere anche le persone che non riescono ad uscire di casa. Non è facile, ma Non Una Di Meno è anche l’unico movimento che attualmente si è impegnato in questo senso”. Questo approccio, spiega Milena, è legato al valore dell’intersezionalità che è fondamentale per il movimento. “Per noi l’intersezionalità delle lotte è cruciale, anche se comporta fatica, implica mettersi in ascolto e accettare le critiche, gestire i conflitti, trovare compromessi tra la volontà di essere radicali e quella di essere accessibili”.

Cosa significa corteo accessibile?

Per rendere i suoi ultimi cortei nazionali – quello dell’8 marzo e quello del 25 novembre – più accessibili, Non Una di Meno si è interfacciata con gli attivisti di Disability Pride Network, rete nata da un’idea di Carmelo Comisi nel 2015 che da anni promuove i diritti civili delle persone con disabilità e organizza iniziative e manifestazioni. “Per organizzare un corteo accessibile, il confronto è la cosa più importante”, spiega Martina Pasquali, attivista del Disability Pride Network. “È importante parlare con le persone e partire dalle loro diverse necessità e questo vale per tutte le manifestazioni, non solo per i cortei femministi, ma anche per i pride, per i cortei ambientalisti eccetera. Capita che, come Disability Pride Network, ci coinvolgano per migliorare l’accessibilità, ma la speranza è che piano piano queste pratiche vengano interiorizzate per tutti i tipi di cortei, senza bisogno che ci siamo noi a controllare”.

come si organizza un corteo accessibilepinterest

PHOTOGRAPHY BY BERT.DESIGN

Sono molti gli aspetti da prendere in considerazione, a cominciare dalla scelta del percorso per il corteo che non deve presentare barriere architettoniche, dislivelli o pavimentazioni che possano costituire un problema per chi utilizza una sedia a ruote o altri ausili al cammino e sono sempre preferibili strade ampie in modo da poter lasciare degli spazi liberi ai lati del corteo. “Le città italiane tendenzialmente non sono accessibili”, spiega Pasquali, “Per superare le barriere architettoniche si può scegliere di investire in diverse soluzioni. Ad esempio Non Una Di Meno ha acquistato una pedana mobile e messo a disposizione una golf car. Le golf car sono utili per cortei lunghi nel caso in cui, per qualcuno, sia molto stancante spostarsi in autonomia dall’inizio alla fine. A Palermo, per lo stesso motivo, Disability Pride utilizza un trenino elettrico”.

“Le città italiane tendenzialmente non sono accessibili”

Una volta stabilito il percorso “È importante fornire più informazioni possibili per tempo preparare la mappa e segnare quanti più elementi possibili, come le metro accessibili al punto di partenza e al punto di arrivo, bar e bagni accessibili per le persone in carrozzina, eventuali tratti del percorso potenzialmente problematici, ma anche fontanelle e zone di riposo specie se la manifestazione avviene in estate quando fa molto caldo”. Si tratta, poi, di pensare a quello di cui le persone potrebbero aver bisogno. Alla manifestazione di NUDM dello scorso 25 novembre sono state previste zone di decompressione e scarico sensoriale, interpreti LIS sui camion per le persone sorde, kit d’emergenza con tappi, palline antistress per le persone neurodivergenti, caramelle e acqua. È anche stato istituito un gruppo di volontari per aiutare le persone in difficoltà: “Assieme a NUDM abbiamo creato un gruppo Telegram di volontari con l’idea che, con l’aiuto reciproco, si possa far fronte ad un contesto inaccessibile come può essere la città di Roma”, spiega Pasquali, “I volontari avevano una fascia bianca sul braccio come contrassegno e chi aveva bisogno d’aiuto poteva rivolgersi a loro per chiedere di essere accompagnato in bagno o alla stazione della metro, o in caso l’ausilio si fosse incastrato nei sampietrini o altro. In questo modo si cerca di dare la possibilità alle persone con disabilità di partecipare anche senza bisogno di accompagnatori”.

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Secondo Martina Pasquali, si tratta di “mettersi al passo con il più lento” e di incastrare al meglio le necessità di tutti. “La Convenzione ONU del 2006”, spiega, “ci dice che la disabilità non è più una caratteristica della persona, ma è il rapporto tra la persona e il contesto. Se il contesto non è accessibile, allora la mia disabilità si sente più forte”. È necessario, però, anche cambiare la percezione dei corpi con disabilità nei contesti politici e di attivismo. “L’attivismo delle persone con disabilità è sempre esistito, ma negli anni 70 le chiamavano ‘marce del dolore’”, aggiunge infatti, “Oggi le cose sono cambiate e Disability Pride cerca di scardinare determinati stereotipi portando per le strade i corpi con disabilità per lottare per i diritti con orgoglio”.



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