Perché in Italia macelliamo sempre meno suini

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Nel 2024 si è registrato un calo significativo delle macellazioni di suini destinati alla produzione di prodotti Dop e Igp in Italia. Questo dato riflette non solo le difficoltà di un settore, ma anche l’insostenibilità di un modello produttivo messo sempre più in discussione. Dietro la diminuzione di oltre quattrocentocinquantamila capi nei primi otto mesi dell’anno si intravedono, seppur minimi, segnali di cambiamento. Uno scenario simile solleva interrogativi sul futuro della carne suina, simbolo di un sistema alimentare in evoluzione.

Secondo i dati elaborati dal Clal su dati Ifcq e Csqa, le macellazioni complessive in Italia sono aumentate, raggiungendo 6.714.783 capi tra gennaio e agosto 2024, con una crescita di 84.134 capi rispetto allo stesso periodo del 2023. Tuttavia, il numero di suini destinati alla produzione Dop ha subìto una drastica contrazione: 454.547 capi in meno rispetto all’anno precedente, passando da 5.286.472 nel 2023 a 4.831.925 nel 2024. Nel periodo gennaio-novembre 2024, il numero complessivo di suini macellati per prodotti Dop e Igp è sceso a 6.471.022 capi, con una diminuzione del 5,41 per cento rispetto al 2023.

Questa riduzione non è da sottovalutare, considerando l’importanza dei prodotti Dop e Igp, eccellenze del «made in Italy», rappresentate da prodotti come Prosciutto di Parma, San Daniele o Speck Alto Adige. Da un lato, il calo potrebbe avere rilevanti ripercussioni economiche su allevatori e trasformatori, e in generale sull’intera filiera. Dall’altro, potrebbe segnalare un cambiamento nelle dinamiche di consumo. Infatti, il trend generale, secondo il portale Rift, evidenzia un calo complessivo delle macellazioni di suini in Italia negli ultimi quattro anni: da 8,2 milioni di capi macellati nel 2020, si stima che il totale per il 2024 si attesti intorno a 6,7 milioni, segnando una riduzione del 17,7 per cento in un periodo relativamente breve.

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Tra le principali cause della diminuzione emerge il calo della domanda di carne suina, influenzato da diversi fattori. Nei primi quattro mesi del 2024, secondo l’Istat, il consumo di carne suina fresca è calato del 7,5 per cento, mentre quello dei salumi ha registrato una flessione del quattro per cento. L’aumento dei costi produttivi, pari a circa il tre per cento, ha inciso negativamente, influenzato in parte dall’impatto della Peste suina africana che ha comportato abbattimenti e perdite significative di capi di bestiame. Non meno rilevanti sono le preoccupazioni dei consumatori riguardo alla salute, al benessere animale e alla sostenibilità ambientale, che hanno contribuito a una graduale modifica delle abitudini alimentari, favorendo una minore domanda di carne.

A livello europeo, il calo delle macellazioni di suini è un fenomeno diffuso, seppur con variazioni tra i Paesi. In Germania e Italia, la riduzione è stata meno marcata rispetto a Spagna e Francia, dove si sono registrate flessioni più significative. Anche in Europa ha influito l’aumento dei prezzi della carne suina, rendendo i prodotti a base di carne meno accessibili per alcune fasce della popolazione e incentivando la ricerca di alternative più economiche e sostenibili. In Italia, l’impatto è stato più evidente sui prodotti Dop e Igp, già caratterizzati da un posizionamento “premium”, mentre in Germania l’aumento dei costi ha colpito soprattutto i prodotti freschi e trasformati. Questo può essere attribuito a differenze nelle abitudini alimentari, nella struttura della filiera e nelle politiche di sostegno ai produttori locali.

Questo calo nel consumo di carne suina può essere però osservato anche attraverso la lente delle scelte alimentari dei consumatori. La crescente diffusione di diete vegetariane, vegane e flexitariane ha contribuito a ridurre la domanda di carne. In Germania circa il dieci per cento della popolazione segue una dieta vegetariana o vegana, mentre nel Regno Unito questa percentuale si attesta intorno al nove per cento. In Italia, il 9,5 per cento (6,6 per cento nel 2023) della popolazione si dichiara vegetariana o vegana, con una divisione tra il 7,2 per cento di vegetariani e il 2,3 per cento di vegani. 

Il fenomeno del flexitarianismo, ossia una riduzione significativa del consumo di carne senza eliminarla del tutto, è in forte crescita. In Germania, il trenta per cento della popolazione si identifica come flexitariano, una percentuale simile a quella di Austria e Portogallo. Nonostante questi cambiamenti, il consumo annuale di carne pro capite rimane elevato: circa ottantasette chilogrammi l’anno in Germania e ottanta chilogrammi in Italia.

Le trasformazioni in corso riflettono una crescente attenzione dei consumatori verso tematiche come il benessere animale, la sostenibilità ambientale e la salute. Questo scenario pone il settore suinicolo europeo di fronte a una doppia sfida: da un lato, adattarsi a una domanda in calo per i prodotti tradizionali, dall’altro, cogliere l’opportunità di diversificare l’offerta, puntando su innovazione e sostenibilità per soddisfare le nuove esigenze del mercato.

Tuttavia, considerando il contesto storico del settore suinicolo italiano, questa tendenza non deve necessariamente essere interpretata come un segnale definitivo di declino strutturale. Nel corso degli ultimi trent’anni, l’industria suinicola italiana ha alternato fasi di crescita e riduzione. Negli anni Novanta e Duemila, l’aumento della domanda interna e la forte richiesta di prodotti Dop e Igp hanno portato a un incremento della produzione, fino al picco raggiunto attorno al 2010. 

Successivamente, tra il 2010 e il 2015, il settore ha vissuto un periodo negativo, dovuto principalmente a fattori come l’aumento dei costi produttivi, il calo dei consumi e la competizione internazionale, con Paesi come Spagna e Germania che hanno rafforzato le loro posizioni nel mercato suinicolo. Alla luce di questi precedenti cicli, il calo delle macellazioni del 2024 potrebbe riflettere una fase temporanea di adattamento.

La crescente consapevolezza dei consumatori riguardo sostenibilità, benessere animale e diete alternative, come il vegetarianismo e il flexitarianismo, suggerisce una trasformazione nei modelli di consumo piuttosto che un calo strutturale permanente. Inoltre, l’aumento dei costi produttivi rappresenta una sfida superabile nel lungo periodo.

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Una delle opportunità potrebbe essere rappresentata dall’adozione di pratiche produttive più sostenibili, come il miglioramento del benessere animale e l’ottimizzazione delle risorse naturali. Investire in tecnologie che riducano l’impatto ambientale degli allevamenti e sviluppare prodotti che rispondano alle nuove tendenze di consumo, come alternative a base vegetale o carne prodotta con metodi innovativi, potrebbe aiutare il settore a mantenere la propria competitività.

Il futuro del settore suinicolo dipenderà dalla capacità di adattarsi ai cambiamenti in atto e di anticipare le esigenze di un mercato in evoluzione. La sostenibilità non è più un optional, ma una necessità per rispondere alle richieste di consumatori sempre più attenti e consapevoli. Investire nella ricerca e nello sviluppo, favorire la transizione verso modelli produttivi circolari e promuovere collaborazioni lungo tutta la filiera potrebbero rappresentare le chiavi per un rilancio sostenibile del settore.

In un contesto europeo e globale caratterizzato da cambiamenti rapidi e profondi, il settore suinicolo italiano può ancora giocare un ruolo di primo piano, ma solo se saprà coniugare l’eccellenza delle sue tradizioni con l’innovazione necessaria per affrontare le sfide del futuro.



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