(effe) – Problems of Men (Problemi degli uomini) è una raccolta di saggi e scritti vari di John Dewey, pubblicata nel 1946. In quest’opera, Dewey affronta varie questioni filosofiche e sociali del suo tempo, concentrandosi sul ruolo dell’educazione, della democrazia e del metodo scientifico nella risoluzione dei problemi umani. Sottolinea l’importanza del pensiero critico e dell’indagine riflessiva per raggiungere la crescita personale e sociale. I saggi esplorano temi come la natura dell’esperienza, la funzione della conoscenza e la relazione tra individui e comunità. L’approccio pragmatico di Dewey evidenzia la necessità di soluzioni pratiche e strategie adattive per affrontare le sfide della società moderna. Tra gli scritti raccolti nel volume uno è dedicato a “The revolt against science” (1945), che qui traduco in italiano nel mio Taccuino blu.
John Dewey — Sarebbe una perdita di tempo discutere che al momento attuale siamo di fronte a una rivolta diffusa contro la scienza, poiché la sua presenza è evidente in quasi ogni campo. Nell’educazione prende la forma di contrapporre le discipline umanistiche alle scienze, accompagnata dall’affermazione clamorosa che tutti i mali e i fallimenti del sistema scolastico attuale—numerosi e gravi oltre ogni dubbio—sono il risultato della subordinazione delle “discipline umanistiche” alle scienze. E se metto le virgolette intorno alla parola discipline umanistiche è perché l’attacco che viene fatto in questo campo proviene da insegnanti di materie letterarie e procede identificando l’umano con il linguistico e il letterario.
Sul versante teorico, della pseudo-filosofia, l’attacco si basa sul definire le scienze “materialistiche” mentre le materie letterarie sono identificate con tutto ciò che è idealistico e “spirituale” nelle nostre tradizioni e istituzioni. Questa posizione si fonda sulla credenza nella separazione dell’uomo dalla natura. L’uomo è considerato non solo come signore sulla natura, ma come signore nel senso più antico e screditato del termine, quello di un monarca dispotico che si suppone governi per semplice decreto. Questa separazione, la più fondamentale di tutte le forme di isolazionismo, ignora completamente gli interessi e le preoccupazioni quotidiane della grande massa degli esseri umani che sono intimamente legati alle condizioni della natura che devono affrontare— condizioni che influenzano in gran parte il loro benessere e destino come esseri umani. Chiunque si permetta di osservare lo spettacolo offerto dalla grande massa degli esseri umani nella questione di fare e avere una vita dignitosa sarà consapevole della mostruosa insolenza dell’identificazione delle discipline umanistiche con la linguistica e le letterature.
Il fatto, tuttavia, che l’identificazione venga attuata, e che l’accusa delle scienze dipenda da essa, è estremamente illuminante. Mette in luce il contesto della rivolta contro la scienza; delinea i veri valori umani e gli obiettivi in gioco, e indica l’unica strada che porta a un autentico e non finto avanzamento dell’umanesimo. Riguardo al contesto, riguardo alla fonte della rivolta, punta direttamente a coloro che hanno “autorità” contro i movimenti che minacciano la loro supremazia introducendo un nuovo ordine più ampio e umano. Fondamentalmente, l’attacco proviene dai rappresentanti di coloro che hanno goduto del potere di controllo e regolazione degli altri esseri umani grazie alla configurazione esistente nelle istituzioni politiche, ecclesiastiche ed economiche. Superficialmente, e più oralmente, proviene da insegnanti che scoprono che il loro ruolo e prestigio nel sistema educativo sta venendo compromesso, e che innocentemente, cioè ignorantemente, fanno il lavoro dei seguaci (campfollowers).
Sarà significativo e interessante confrontare l’attuale rivolta contro la scienza con il precedente movimento noto come “Conflitto tra Scienza e Religione”. In quella precedente contesa, gli attacchi alla scienza si concentravano su certe conclusioni generali raggiunte dalle scienze, inizialmente in astronomia e infine in biologia. Gli attacchi erano incentrati sull’impatto dottrinale distruttivo delle nuove conclusioni sulle credenze che erano state stabilite in una fase primitiva della storia umana e che, nel corso dei millenni successivi, erano state investite di ogni tipo di sanzioni intellettuali, istituzionali ed emotive.
Non si può dire che le dottrine scientifiche abbiano ottenuto una vittoria completa. Il “fondamentalismo” è ancora diffuso sia nelle denominazioni cattoliche che protestanti. Tuttavia, nel complesso, il clima di opinione si è adeguato alle nuove visioni. Gli attacchi contro di esse hanno ora un’importanza settaria piuttosto che un’importanza sociale generale. L’attuale rivolta contro la scienza è più profonda rispetto a quella precedente, e questo nonostante le vittorie ottenute dagli scienziati nel periodo intermedio. Non abbiamo più una battaglia tra un nuovo insieme di credenze in questioni specifiche e quelle vecchie che si erano radicate nel cuore umano. L’attacco alla scienza è ora un attacco all’atteggiamento, al punto di vista, ai metodi che costituiscono la scienza, con particolare riferimento alla loro influenza sui problemi istituzionali umani, concentrandosi sulla questione suprema di chi e cosa debba avere l’autorità per influenzare e dare direzione alla vita.
Non intendo qui criticare la filosofia sottostante utilizzata per giustificare l’attacco alla scienza ogni volta che qualcuno tenta di applicare metodi e risultati scientifici oltre il “materiale” tecnico ora così generosamente assegnato ad essa, a condizione, naturalmente, che non osi invadere il dominio morale delle preoccupazioni umane. Voglio piuttosto evidenziare alcuni dei fattori che conferiscono un’apparenza di giustificazione agli attacchi alla scienza come “materialistica”, e al suo materialismo come ostile ai valori umani. Siamo tutti familiari con la distinzione comunemente fatta tra scienza “pura” e “applicata”. Non intendo ripetere qui un punto che ho fatto ripetutamente altrove, cioè che la netta divisione che viene fatta è un relitto intellettuale del tempo in cui, nella fraseologia di Aristotele, la “teoria” aveva a che fare con cose che erano supreme perché divine ed eterne, e la “pratica” aveva a che fare con cose che erano semplicemente mondane, cose al peggio servili e al meglio terrene e transitorie.
Voglio piuttosto attirare l’attenzione sul fatto che, per quanto valide possano essere le ragioni che una piccola classe di intellettuali ha per mantenere separate la scienza pura e applicata, la grande massa di persone entra in contatto con la “scienza” solo attraverso le sue applicazioni. Per loro, la scienza è ciò che significa nella loro vita quotidiana; le conseguenze che ha sulle loro occupazioni giornaliere, gli usi, i piaceri e le limitazioni di uso e piacere che caratterizzano le loro vite nelle case, nei quartieri e nelle fabbriche; sul loro lavoro e nei fallimenti nel trovare lavoro.
La “scienza applicata” significa, quindi, qualcosa di molto diverso per loro rispetto a ciò che significa per il filosofo impegnato a fare distinzioni. Significa qualcosa di molto diverso da ciò che significa per l’inventore che si dedica a tradurre formule matematico-fisiche in macchine e altri dispositivi di potere. Non significa tecnologia in astratto; significa tecnologia come opera nelle condizioni politico-economico-culturali esistenti. Qui, e non nella scienza, sia essa pura o astratta, è dove si trova il materialismo come nemico dell’umano; ed è qui, non altrove, che dovrebbero essere diretti gli attacchi.
Quando coloro che orgogliosamente si definiscono umanisti, custodi degli interessi morali e ideali dell’umanità, iniziano ad attaccare le abitudini e le istituzioni che causano l’applicazione tecnologica della scienza a operare con durezza su ampie porzioni della popolazione, limitando sia la loro istruzione sia le altre opportunità per una vita umana generosa, trasformando i potenziali strumenti di sicurezza in dispositivi per produrre insicurezza di massa, avremo motivo di credere che la loro preoccupazione per i valori umani sia sincera, invece di essere un espediente, deliberato o ingenuo, per mantenere una qualche forma di interesse di classe istituzionalizzato. Human is as human does: Umano è chi umano fa.
*”The revolt against science” (1945), trad. it. effe (Fabrizio Pinna) | 2025. Riferimento bibliografico: Dewey, John. Problems of Men. New York: Philosophical Library, 1946.
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