Imprese Italiane Resistenti ai Dazi di Trump: Scopri la Valutazione S&P!


La stabilità domina tra le aziende corporate monitorate, ma le politiche USA potrebbero introdurre cambiamenti significativi

Le aziende italiane hanno dimostrato una resilienza notevole durante le recenti turbolenze economiche, tuttavia, rimangono alcune incertezze legate a dinamiche esterne. Un elemento di spicco è il rischio di nuovi dazi che potrebbero essere introdotti dall’amministrazione Trump, influenzando le esportazioni verso gli Stati Uniti. Secondo S&P Global Ratings, la situazione delle imprese italiane è generalmente stabile, con prospettive di debito stabili per il 70% delle entità corporate analizzate dall’agenzia in Italia.

L’Italia si allinea in questo contesto agli andamenti degli altri Paesi europei, mostrando punti di forza e debolezze simili. Le imprese italiane “sono in buone condizioni, paragonabili a quelle del resto dell’Europa, nonostante le preoccupazioni non manchino”, afferma Renato Panichi, Senior Director Corporate Ratings presso S&P Global, che non esita a sottolineare le tensioni commerciali potenziali legate all’introduzione di tariffe USA.

L’analisi di questa situazione è complessa e ancora prematura: “Per comprendere l’impatto definitivo sarà essenziale conoscere i dettagli specifici delle misure e le reazioni delle aziende”, precisa l’autore del report Italian corporate outlook 2025, presentato durante la conferenza annuale dell’agenzia.

Tra i fattori da considerare, Panichi include la possibilità di sostituire i prodotti esteri con quelli domestici, l’effetto del previsto deprezzamento dell’euro, che potrebbe mitigare gli impatti negativi per gli esportatori, le eventuali “triangolazioni” che le aziende italiane potrebbero realizzare aumentando la produzione in paesi terzi, e il possibile vantaggio derivante da sanzioni maggiori contro altri paesi, come la Cina. Inoltre, le aziende potrebbero decidere di assorbire i costi maggiori per mantenere i volumi di vendita o riflettere l’aumento dei dazi sui prezzi al consumo.

Un’altra grande incognita “esterna” è il rischio geopolitico, in particolare il conflitto in Ucraina. Secondo S&P, questo potrebbe influenzare le aziende italiane non tanto per i costi delle materie prime, già gestiti durante la fase acuta della crisi, quanto per le decisioni relative agli investimenti. L’incertezza potrebbe “accelerare un trend di moderazione nella crescita e portare a una stagnazione nel 2025”.

In questo scenario, l’Italia si trova in linea con il resto d’Europa, anche per quanto riguarda la produttività del lavoro, un altro aspetto chiave evidenziato dall’agenzia. “Negli ultimi dieci anni, le imprese manifatturiere italiane hanno seguito un trend simile a quello delle tedesche”, rassicura Panichi, che tuttavia nota un divario in settori come i servizi e la pubblica amministrazione. L’Europa, inoltre, risente della superiorità degli USA nel settore delle tecnologie digitali, come evidenziato anche dal rapporto Draghi.

Riguardo alle differenze nel rating, è importante considerare l’appartenenza settoriale delle aziende, confrontando ad esempio le difficoltà del settore automobilistico o chimico con il periodo positivo per costruzioni e infrastrutture.

Panichi evidenzia una peculiarità del momento per la corporate Italia, osservando che oltre alla prevalenza di situazioni “stabili”, c’è una percentuale maggiore di casi che potrebbero portare a cambiamenti di rating. Mentre la percentuale di outlook “negativi” (15%) è in linea con quella europea, le prospettive “positive” (15%) sono più frequenti rispetto alla media del continente, legate sia a circostanze specifiche di singole aziende sia a settori in buona salute come la difesa e le infrastrutture.

In conclusione, il cauto ottimismo di S&P deriva da “bilanci più solidi rispetto al passato e da un miglioramento nella struttura di capitale delle aziende, che hanno continuato a investire per aumentare la produttività”. Tuttavia, la ricerca si limita alle aziende monitorate e con rating, mentre le piccole e microimprese, che rappresentano una parte significativa del tessuto produttivo italiano, non sempre mostrano lo stesso stato di salute: “In questi casi – conclude Panichi – è fondamentale la presenza di una politica industriale coerente e di incentivi fiscali“.

 

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