Il nuovo articolo 187 del nuovo Codice della Strada, introdotto di recente, sta suscitando polemiche e perplessità: la normativa potrebbe essere dichiarata incostituzionale oppure no? Scopriamolo.
La riforma del Codice della Strada, voluta dal ministro Salvini, vorrebbe rafforzare le misure di sicurezza sulle strade italiane. Tuttavia, l’approccio adottato rischia di sollevare problematiche di costituzionalità e di creare un clima di incertezza tra i cittadini. Il dibattito è aperto e potrebbe prolungarsi a lungo, in attesa di un eventuale intervento della Corte Costituzionale.
Scopriamo dunque nello specifico qual è il nodo della questione e quali potrebbero essere gli scenari futuri.
Il nuovo Codice della Strada è incostituzionale?
Il nuovo articolo 187 del Codice della Strada, introdotto di recente, sta infatti suscitando polemiche e perplessità, soprattutto per quanto riguarda la sua compatibilità con i principi costituzionali. La norma punisce chiunque si metta alla guida dopo aver assunto sostanze stupefacenti, indipendentemente dallo stato di alterazione psicofisica del conducente al momento del controllo. Un cambiamento che, secondo alcuni giuristi, potrebbe essere giudicato incostituzionale.
L’atto di protesta di Filippo Blengino
A scatenare il dibattito pubblico è stato il gesto provocatorio di Filippo Blengino, segretario dei Radicali, che si è autodenunciato per guida dopo l’assunzione di sostanze stupefacenti.
In un video pubblicato sui social, Blengino ha raccontato di aver guidato due giorni dopo aver fumato cannabis, sottolineando come il nuovo regolamento non richieda più la dimostrazione di un’effettiva alterazione delle capacità di guida. “Ho sfidato una norma ingiusta“, ha dichiarato, definendo il suo gesto un atto di disobbedienza civile contro una legge che considera irragionevole e sproporzionata.
Cosa cambia con il nuovo Codice
La modifica all’articolo 187, approvata in via definitiva dal Parlamento e in attesa di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale, elimina il riferimento allo stato di alterazione psicofisica. In sostanza, il semplice riscontro di sostanze nel corpo del conducente, anche se consumate molto tempo prima, può comportare pesanti sanzioni, come la sospensione e successiva revoca della patente.
Critici e giuristi sostengono che questa disposizione introduca un divieto generalizzato sull’uso di sostanze stupefacenti, ignorando che, in Italia, il consumo personale di droghe non è un reato, ma un illecito amministrativo. La norma, così com’è formulata, potrebbe risultare sproporzionata, andando oltre il suo obiettivo di garantire la sicurezza stradale.
Precedenti giudizi della Corte Costituzionale
Non è la prima volta che il Codice della Strada finisce sotto la lente della Corte Costituzionale. In passato, la Consulta ha dichiarato incostituzionali norme giudicate irragionevoli o eccessivamente punitive. Ad esempio:
- Sentenza n. 27/2005: la Corte ha bocciato l’automatica sottrazione di punti dalla patente del proprietario del veicolo senza accertare chi fosse effettivamente alla guida.
- Sentenza n. 52/2024: è stata annullata la revoca della patente per chi circolava con un’auto sottoposta a fermo amministrativo, ritenendola una misura sproporzionata rispetto alla gravità dell’infrazione.
Anche nel caso dell’articolo 187, gli esperti ritengono che la norma possa essere giudicata illegittima, in quanto punisce un comportamento che non rappresenta necessariamente un pericolo concreto per la sicurezza stradale.
I problemi dei falsi positivi
Un ulteriore elemento di criticità riguarda i test antidroga, che potrebbero rilevare tracce di sostanze dovute a farmaci o alimenti comuni. Tra i prodotti a rischio troviamo:
- Farmaci da banco, come quelli contenenti pseudoefedrina (usata per il raffreddore) o alcuni antidepressivi.
- Antidolorifici diffusi, come l’ibuprofene, che può generare un falso positivo per la marijuana.
- Alimenti, come i semi di papavero, che possono portare a risultati simili agli oppiacei.
Questi falsi positivi potrebbero comportare sanzioni ingiuste per conducenti che non costituiscono un pericolo reale sulle strade.
Qui un approfondimento sulla questione dei farmaci “proibiti”.
Come si arriva a un giudizio della Consulta
Il percorso per portare una norma davanti alla Corte Costituzionale è articolato e richiede tempi lunghi. Tutto parte da un caso concreto: un cittadino o un’azienda, contestando l’applicazione di una legge, deve sollevare la questione davanti a un giudice ordinario o amministrativo. Questo giudice, valutando la fondatezza del dubbio di legittimità costituzionale, può decidere di trasmettere la questione alla Corte. Si tratta di un passaggio cruciale, poiché spetta al giudice valutare se sussistano i presupposti per coinvolgere la Consulta, escludendo i casi manifestamente infondati.
Una volta ricevuto il quesito, la Corte Costituzionale esamina innanzitutto l’ammissibilità della questione, verificando che sia rilevante e non pretestuosa. Solo dopo un’udienza preliminare, i giudici costituzionali procedono con l’analisi nel merito. Questo iter, dalla presentazione del caso fino alla pronuncia, può richiedere molti mesi, talvolta anni. Nel frattempo, la norma resta pienamente operativa, potenzialmente generando un’ondata di contenziosi nelle aule dei tribunali.
La norma sotto accusa: un rischio di contenziosi
Nel caso dell’articolo 187 del Codice della Strada, modificato per punire chiunque risulti positivo a un test antidroga, anche in assenza di alterazioni psico-fisiche, le implicazioni legali potrebbero essere vaste. Secondo molti giuristi, la norma risulta problematica per almeno tre ragioni principali:
- Sproporzione della sanzione: La Corte Costituzionale, in altre pronunce, ha sottolineato la necessità di un equilibrio tra la gravità del comportamento sanzionato e le conseguenze punitive. In questo caso, la sospensione o revoca della patente si applicherebbe a un soggetto lucido, senza che vi siano prove di guida pericolosa o alterazione delle capacità. Questo potrebbe essere considerato un provvedimento sproporzionato, analogamente a quanto accaduto con la sentenza n. 52/2024, che aveva bocciato la revoca della patente per chi circolava con un’auto sottoposta a fermo amministrativo.
- Contrasto con il principio di legalità: Punire una condotta che non rappresenta un pericolo immediato per la sicurezza stradale potrebbe essere interpretato come un ampliamento improprio delle competenze del Codice della Strada, che risulterebbe in contrasto con l’attuale normativa sulle droghe, in cui il consumo personale non è reato.
- Ambiguità dei test antidroga: Numerosi farmaci da banco e alimenti possono generare risultati falsi positivi nei test rapidi, mettendo a rischio individui che non hanno mai assunto sostanze stupefacenti in senso stretto. Questo apre la porta a una serie di ricorsi, con l’onere per il cittadino di dimostrare la propria innocenza tramite ulteriori esami e perizie.
Le possibili conseguenze
L’applicazione di una norma così controversa potrebbe dar luogo a un numero elevato di ricorsi giudiziari, aggravando il carico di lavoro dei tribunali e ritardando ulteriormente l’iter per eventuali pronunce di incostituzionalità. Nel frattempo, i cittadini colpiti dalla sanzione rischiano di subire conseguenze significative, come la perdita della patente, senza che vi siano garanzie immediate di giustizia.
Questa complessità sottolinea l’importanza di un dibattito pubblico e giuridico approfondito, non solo per valutare l’efficacia della norma, ma anche per garantire il rispetto dei principi costituzionali su cui si fonda lo Stato di diritto.
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