Migranti, respinto illegalmente dall’Italia ottiene visto regolare, dopo anni di torture: tribunale gli dà ragione

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25 Dicembre 2024



10:30

A luglio 2018 un giovane sudanese richiedente asilo è stato respinto illegalmente dalle autorità italiane e riportato in Libia, dove ha subito torture e violenze psicologiche. Oggi, 25 dicembre 2024, dopo una lunga battaglia legale, è finalmente arrivato in Italia con un visto regolare.

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Nel luglio del 2018, A., giovane richiedente asilo sudanese, è stato vittima di un respingimento illegittimo da parte delle autorità italiane, che lo hanno riportato in Libia insieme ad altri migranti.

La vicenda ha avuto inizio quando, insieme ad altri 270 fuggitivi dalla Libia, A. è stato intercettato nel Mediterraneo dalla nave mercantile Asso 29, appartenente alla società Augusta Offshore, che operava su richiesta delle autorità italiane. Nonostante le imbarcazioni in difficoltà fossero state segnalate e la nave Duilio, della Marina Militare italiana, fosse nelle vicinanze, le autorità italiane non sono intervenute direttamente per soccorrere i naufraghi. Al contrario, hanno contattato la Guardia Costiera libica per gestire l’operazione di salvataggio.

Il giovane e gli altri migranti sono stati così trasferiti sulla motovedetta libica Zuwarah, che, con il supporto italiano, ha continuato a intercettare altre imbarcazioni. Il loro destino è stato segnato quando sono stati riportati forzatamente in Libia, nonostante i rischi di torture e trattamenti inumani a cui erano esposti. Il ragazzo sudanese è stato quindi detenuto in diversi centri di detenzione libici tra violenze e torture, in un contesto di completa impunità.

Dopo aver vissuto anni di abusi nei centri di detenzione libici, il giovane, ha finalmente ottenuto giustizia grazie a una battaglia legale. Il Tribunale civile di Roma ha infatti dichiarato l’illegittimità del suo respingimento, sancendo così il suo diritto a entrare in Italia e chiedere protezione internazionale.

Oggi, 25 dicembre 2024, a distanza di sei anni, A. è arrivato finalmente in Italia con un visto regolare, ottenendo così la possibilità di ricostruire la sua vita lontano dalle sofferenze e dalle continue violazioni dei diritti umani che aveva subito.

La storia di A.: dal Sudan alla Libia, una fuga da violenze e torture

A. proviene dal Darfur, una regione del Sudan devastata da conflitti e violenze. Dopo aver vissuto in un contesto di continua insicurezza e violenza, il giovane A. ha deciso di fuggire e cercare protezione. Arrivato in Libia, il suo sogno di sicurezza e rifugio è stato infranto. In Libia, il ragazzo è stato infatti vittima di abusi fisici e psicologici, nonché di detenzione arbitraria in condizioni disumane.

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Nel giugno 2018, spinto dalla disperazione e dalla speranza di giungere in Europa, A. ha tentato di fuggire nuovamente, imbarcandosi su un gommone in direzione delle coste italiane.

Il respingimento illegale

Il 2 luglio 2018, la nave mercantile italiana Asso 29, sotto il coordinamento delle autorità italiane, interviene per prestare assistenza alla motovedetta libica Zuwarah. Ma invece di condurre i naufraghi in un luogo sicuro, come previsto dal diritto internazionale, li imbarca e li riporta in Libia. Durante la traversata, un ufficiale libico informa i migranti che, se non si fossero opposti, sarebbero stati condotti in Italia. Ma, al loro arrivo a Tripoli, le persone a bordo vengono consegnate alle autorità libiche, che le trasferiscono su piccole imbarcazioni per condurle a terra.

Così, da quel momento, A. e le altre persone migranti vengono portate in diversi centri di detenzione, tra cui Tarik Al Sikka, Zintan, Tarik Al Matar e Gharyan. Qui, vengono sottoposti a torture, abusi fisici e psicologici, e privati di ogni diritto fondamentale, tra sovraffollamento, mancanza di cibo e acqua, e condizioni igieniche terribili.

Questo episodio non rappresenta un caso isolato. Ogni anno, nel Mediterraneo, centinaia di persone vengono intercettate in mare e riportate in Libia, dove sono costrette ad affrontare gravi violazioni dei diritti umani.

La Libia non è un paese sicuro

Secondo le disposizioni internazionali, la Libia non può essere considerata un luogo sicuro per il rimpatrio di migranti o richiedenti asilo.

In particolare, la Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), all’articolo 3, vieta il rimpatrio verso paesi in cui esiste il rischio di subire torture o trattamenti inumani e degradanti. La Convenzione di Ginevra del 1951, che regola lo status dei rifugiati, sancisce il principio di non-refoulement, che proibisce il ritorno in un paese dove una persona possa essere esposta a persecuzioni.

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E, in Libia, sono ampiamente documentati abusi e violazioni dei diritti umani nei centri di detenzione.

Cosa dice la legge sul soccorso in mare e sui respingimenti illegali

Le normative internazionali sul soccorso in mare, come la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) e la Convenzione SAR (Search and Rescue), stabiliscono che le autorità competenti sono obbligate a prestare soccorso a chiunque sia in pericolo in mare e a condurre i naufraghi in un “luogo sicuro”.

Il Protocollo addizionale n. 4 alla Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo, all’articolo 4, vieta il respingimento collettivo e stabilisce che le persone non possono essere rimandate in un paese dove rischiano torture o trattamenti inumani. Inoltre, l’articolo 19 del Testo Unico sull’immigrazione italiano vieta il rimpatrio verso paesi in cui il rimpatriato potrebbe subire persecuzioni o trattamenti degradanti.

Quindi, ogni respingimento in Libia senza un’adeguata valutazione del rischio costituisce una violazione di tali principi e obblighi internazionali.

Il ruolo delle autorità italiane

Le indagini condotte dal Tribunale di Roma hanno accertato che le autorità italiane hanno avuto un ruolo fondamentale nell’intercettazione dei migranti e nel loro successivo respingimento, confermando che le azioni italiane violano gli obblighi internazionali e le leggi che proteggono i diritti fondamentali degli individui.

Il respingimento del giovane ragazzo sudanese in Libia è stato così dichiarato illegittimo, in quanto ha violato numerosi principi internazionali, tra cui il divieto di tortura e trattamenti inumani, sancito dall’art. 3 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Le autorità italiane, invece di intervenire per salvaguardare la vita e la dignità dei migranti, hanno scelto di coordinare l’intervento con la Guardia costiera libica, nonostante i rischi evidenti di violenza e detenzione arbitraria in Libia. Questo comportamento è stato in violazione degli obblighi previsti dall’art. 10 della Costituzione italiana e dal diritto internazionale, che richiedono agli Stati di proteggere le persone da torture, trattamenti inumani e degradanti.

In particolare, la Corte ha ribadito che le persone respinte devono poter accedere al diritto d’asilo in Italia. Questo principio è sancito dall’art. 10 della Costituzione italiana, che garantisce a ogni straniero in fuga da guerre o persecuzioni il diritto di chiedere protezione internazionale. Inoltre, il Tribunale ha sottolineato che le autorità italiane sono tenute a garantire che chiunque sia soccorso in mare venga condotto in un “luogo sicuro”, in conformità con la normativa internazionale.

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La battaglia legale e il sostegno delle associazioni

La causa legale di A. è stata sostenuta da un ampio collegio difensivo, con il supporto delle associazioni ASGI (Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione), Sciabaca e Oruka, nonché del JL Project.

Grazie all’accurata ricostruzione e documentazione dei fatti, è stato possibile fare giustizia per A. e altre vittime dei respingimenti illegali nel Mediterraneo. Come sottolineato dagli avvocati difensori, Giulia Crescini e Ginevra Maccarrone, la documentazione e il monitoraggio delle operazioni di soccorso “sono essenziali per proteggere i diritti delle persone migranti e combattere le pratiche illegali delle autorità italiane”.

Sarita Fratini del JL Project ha dichiarato che il ragazzo sudanese è solo il primo di oltre seicento migranti che sono stati identificati come vittime di respingimenti illegali in Libia. La sua vittoria legale rappresenta un segnale di speranza per tutti coloro che hanno subito trattamenti simili. Le legali Cristina Laura Cecchini e Lucia Gennari hanno sottolineato poi che “i respingimenti, spesso attuati con la complicità di società private, sono una violazione palese dei diritti fondamentali, e ogni giorno nel Mediterraneo continuano ad accadere simili violazioni”.

L’arrivo in Italia

Finalmente, il 25 dicembre 2024, A. è arrivato in Italia con un volo di linea e un visto d’ingresso regolare, ottenuto grazie alla sentenza del Tribunale civile di Roma. Dopo sei anni di sofferenze e violazioni dei diritti umani, il giovane ragazzo ha finalmente la possibilità di chiedere protezione internazionale in Italia, un passo fondamentale per garantire i suoi diritti e per ribadire il rispetto delle leggi internazionali. Il suo caso rappresenta una vittoria importante nella lotta contro le pratiche di respingimento illegittimo nel Mediterraneo e una speranza per tutti coloro che, come A., cercano rifugio e protezione in Europa.





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