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112 partite giocate. 63 in singolare – di cui 42 vinte. 49 in doppio – di cui 36 vinte. 5 titoli. Un WTA 1000 in singolare. 4 in doppio; tra questi la medaglia d’oro olimpica. Ma soprattutto due finali Slam consecutive in singolare. Parigi e Wimbledon. Impresa mai riuscita a nessuno nella storia della racchetta azzurra. Donne o uomini, non fa differenza. Sono questi i numeri del 2024 di Jasmine Paolini. Una stagione che definire ‘da sogno’ suona, effettivamente, come eufemismo. Oltre le più rosee previsioni. Oltre le più ottimistiche aspettative. Se l’aveste chiesto persino ai parenti, probabilmente, nessuno avrebbe osato chiedere, pensare, sperare in tanto. Nessuno escluso Renzo Furlan, che nel talento e nell’esplosività della piccola, grande Jasmine, aveva evidentemente visto qualcosa che non tutti erano riusciti a cogliere: il progetto di una campionessa di ‘queste’ dimensioni, da ‘questi’ numeri. Perché il grande 2024 di Jasmine inizia in fondo un filo più lontano; con un percorso intrapreso già dal 2023 e una partita – persa – che ha rappresentato in qualche modo una volta: la sfida a Petra Kvitova sul Centrale di Wimbledon lo scorso anno.
Un match che fece capire a Jasmine che se poteva giocare così, su quel campo, contro la due volte campionessa di quel torneo, allora davvero se la poteva giocare con tutte. Il clic in fondo nasce lì. Dall’onda lunga di un finale di 2023 che lasciava intravedere qualcosa. E di un 2024, appunto, che merita di essere raccontato e ricordato.
Dove nascono i progressi
Fiducia in se stessa – va da sé conditio sine qua non per ogni sportivo che si rispetti – e una grande, grandissima condizione fisica. Perché per giocare un totale di 112 partite in un anno ci vuole soprattutto questa. Se il lavoro tecnico con Renzo Furlan è stato implementato sotto tantissimi aspetti – su tutti l’incisività al servizio (di Jasmine non dobbiamo infatti mai dimenticare l’handicap dell’altezza parecchio inferiore alle colleghe di vertice) e sul lato del dritto, l’ingrediente magico ai successi della Paolini nel 2024 è probabilmente da riconoscere nei progressi dal punto di vista atletico. Paolini è prima di tutto sempre arrivata bene sulla palla, condizione veramente alla base di questa nobile disciplina. Una caratteristica che le ha poi permesso spesso di sfoderare il grande dritto – sicuramente nella Top3 quest’anno del circuito femminile per incisività e costanza di rendimento – e di imporre il gioco, anziché essere travolta. Questo, appunto, si ottiene innanzitutto prima arrivando bene sulla palla, poi sfoderando i progressi tecnici sapientemente apportati dal ‘metodo Furlan’. La ‘ricetta segreta’ di Jasmine è sicuramente riassumibile in questi due concetti. Facile a dirsi. Un po’ meno a farsi. Specie, appunto, per chi ‘dall’alto’ del suo metro e 60 paga tra i 20 e 25 centimetri di handicap fisico rispetto a colleghe come Sabalenka e Rybakina. Eppure Paolini ha dimostrato di poter stare tra i giganti anche senza, fisicamente, esserlo. Da questo punto di vista, il suo successo, è per tutte quelle ragazze che ‘vorrebbero ma temono di non potere’. Anche questo, in fondo, un aspetto mica da poco di questa magica annata che merita di essere rivissuta traguardo dopo traguardo.
Gennaio-Aprile: a fari spenti fino al primo titolo WTA 1000
Il primo quadrimestre tennistico di Paolini è stato quello dell’esplosione. Con quegli ottavi di finale in Australia, torneo dove non aveva mai passato un turno in carriera. Una sconfitta con Anna Kaliskaya che fu preludio di un rivincita, un mesetto dopo, in quello che alla fine resta l’unico titolo in singolare della stagione: l’incredibile successo al ‘1000’ di Dubai. Haddad-Maia, Fernandez, Sakkari, Rybakina, Cirstea e di nuovo Kalinskaya. Paolini ha giocato contro pronostico dei bookmakers dal primo all’ultimo turno, vincendo un torneo proprio per questa ragione ‘impronosticabile’ alla vigilia. Una sorta di anteprima a ciò che sarebbe stato il secondo – e leggendario – quadrimestre dell’anno.
Jasmine infatti ha costruito nei primi 4 mesi dell’anno quel concetto di giocatrice che avrebbe poi tra la primavera e l’estate trasceso ogni più rosea aspettativa. Il cemento americano, tra Indian Wells e Miami, non caratterizzato in singolare da particolari successi. Ma ecco, da subito, una caratteristica che sarebbe stata fondamentale per la stagione: la ‘palestra’ del doppio.
Insieme all’amica – e da un certo punto di vista anche ‘seconda coach’ Sara Errani, in tanti tornei Paolini ha spesso raccolto in doppio ciò che non ha trovato in singolare. Prendete Linz ad esempio: fuori al primo turno con Boulter in singolo, campionessa in doppio insieme a Errani. O il WTA 1000 di Miami: fuori al secondo turno con Navarro in singolo, semifinalista in doppio. Questo, sarà una specie di leitmotiv dell’anno riconosciuto anche dalla stessa Jasmine in molteplici interviste: “Il doppio mi ha aiutato tanto“. Una delle frasi più pronunciate da Paolini in stagione. Nel prossimo quadrimestre capiremo il perché.
Maggio-Agosto: due finali slam e un oro olimpico, è capolavoro
Iniziata con l’unica vera delusione dell’anno – la sconfitta al primo turno contro Sheriff agli Internazionali d’Italia – Paolini dava immediatamente seguito al concetto appena citato: il titolo in doppio a Roma. Il secondo dell’anno dopo Linz. In pochi però, al di là dei risultati, potevano immaginare cosa sarebbe arrivato dopo.
Roland Garros e Wimbledon. Due finali consecutive in singolare. Un’impresa epica per la racchetta italiana perché mai raggiunta da nessun tennista azzurro, donna o uomo che sia. A Parigi la resa è stata solo di fronte alla più forte – Iga Swiatek – al termine di un torneo in cui Paolini fu in grado di superare anche Elena Rybakina, in quel particolare momento della stagione tennista in grandissima fiducia. Un torneo di singolare a cui si aggiunse anche il doppio. Anche qui un resa, ma anche in questo caso di fronte ad avversarie di spessore: Gauff/Siniakova.
Al di là dei due trofei ‘di consolazione’ – e che consolazione – Roland Garros ha però rappresentato per Paolini soprattutto l’acquisizione dello ‘status quo’, l’ingresso di una determinata dimensione che avrebbe accompagnato il tennis di Jasmine anche a Wimbledon. Con esiti clamorosi.
In 130 edizioni del singolare femminile disputate sui leggendari prati dell’All England Club mai nessuna tennista italiana si era spinta fino all’ultimo sabato del torneo. La 131esima volta, è quella buona. Sorribes, Minnen, Andreescu, Keys, Navarro e Vekic – quest’ultima partita con un’epica semifinale da 2 ore e 51 minuti, la più lunga di sempre – la meravigliosa strada che ha portato Paolini fino alla finale. Qui dentro alcuni momenti di tennis altissimo. Il primo set del match contro Andreescu. La lezione inflitta a Navarro ai quarti, avversaria da cui era sempre stata sconfitta. Paolini si è arresa solo a Krejcikova in una finale con parecchio rammarico in più rispetto a quella di Parigi, ma al tempo stesso persa contro una giocatrice la cui vittoria è sembrata essere scritta nelle stelle.
L’estate di Paolini avrebbe comunque avuto un ulteriore culmine. Ancora una volta nel doppio. Tornata sulla terra del Roland Garros per disputare il torneo olimpico, Jasmine si sarebbe arresa a una giornata di gloria assoluta della meteora Schmiedlova, ma insieme a Sara Errani avrebbe poi conquistato un altro traguardo storico, unico: l’oro Olimpico. Mai nessun tennista italiano – uomo o donna – si era spinto così in là , fino al metallo più prezioso. A dirla tutta mai nessuno si era spinto ufficialmente fino a un metallo, se non Lorenzo Musetti il giorno prima col bronzo dietro a Djokovic e Alcaraz. Il culmine di un torneo in cui Paolini, con Errani, ha mostrato un’altra istantanea che spiega la stagione. Perché se di fiducia, progressi tenici e di condizione fisica abbiamo già scritto, nel loro successo di doppio c’è stato anche e soprattutto il cuore. Quello necessario per venire fuori da una partita come il secondo turno contro le francesi Garcia/Parry.
Settembre-novembre: il gran galà di Riad e la BJK Cup da protagonista
L’ultima parte di stagione è stata infine quella dei ricordi. Da conservare indelebili. L’estate ha comprensibilmente drenato un po’ di energie e nonostante un buon US Open terminato agli ottavi di finale contro una super Karolina Muchova – e caratterizzato da una delle migliori partite dell’intera stagione WTA, ovvero la sfida a Flushing Meadows ancora con Andreescu – Paolini dall’Asia ha poi raccolto poco. Mantenendo in ogni caso, comunque, ‘la sua regola’. Mentre usciva al secondo turno in singolare a Pechino, insieme a Errani vinceva il quarto titolo stagionale in doppio, ultimo successo a livello WTA prima dello showdown delle WTA Finals di Riad. Il percorso stagionale ha infatti permesso a Jasmine di diventare la prima italiana proprio da Sara Errani a partecipare al torneo destinato alle migliori 8 sia in singolare che è in doppio. In entrambi i tornei Paolini non è riuscita a spingersi fino alla semifinale, arrendendosi a un girone tostissimo in singolare – Sabalenka, Rybakina, Zheng – e a una formula di doppio che aumenta lo spettacolo ma appiattisce un po’ i livelli (deciding point e terzo set con super tie-break ai 10 punti). E così, se è mancato il ‘culmine’ a Riad, il sigillo finale è arrivato ancora una volta con la maglietta azzurra addosso.
A Malaga, nella BJK Cup Finals, con un trionfo di squadra insieme a Errani, Bronzetti, Cocciaretto e Tatjana Garbin. Un torneo dove Paolini ha praticamente sempre vinto, sia in singolare (dove si è arresa solo a Swiatek) che in doppio con Errani. Per un successo che all’Italia del tennis femminile mancava da 11 anni e che, insieme al ranking, è la ciliegina sulla torta di un 2024 per Paolini che rappresenta la storia del tennis italiano.
Chiuendo infatti solo alle spalle di Aryna Sabalenka, Iga Swiatek e Coco Gauff, Paolini ha terminato l’anno da quarta forza della classica WTA. Un traguardo mai raggiunto nella storia della racchetta azzurra se non da Francesca Schiavone. A ricordare a tutti, insomma, che quest’anno, nel tennis italiano, non c’è stato solo Jannik Sinner.
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