Borghi (Iv): “Questa legge di Bilancio non funziona più. E non è colpa (solo) di Meloni”

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Arriva in Senato il testo della manovra che sarà approvato entro sabato: un passaggio formale senza una discussione sugli emendamenti del governo. “La democrazia è discussione per decidere, non chiacchiera per ratificare”, dice il capogruppo di Italia viva a Palazzo Madama. Che ha una proposta per superare il contingentamento dei tempi: “Seguire il modello inglese”


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“Il problema è la trasformazione del Parlamento in un luogo di liturgia ripetitiva e vuota: la democrazia è discussione per decidere, non chiacchiera per ratificare: la soluzione è quella di seguire il modello inglese e non far aggiungere emendamenti al governo quando la manovra è depositata in Aula”. Esprime tutto il suo sconforto il capogruppo di Italia Viva al Senato Enrico Borghi in merito alla terza Legge di Bilancio del governo Meloni che, dopo l’approvazione alla Camera dei deputati, arriverà domani per le 14 a Palazzo Madama per essere definitivamente approvata sabato 28 dicembre. “Oltre all’elemento di natura strettamente formale, c’è un dato politico istituzionale che è sotto gli occhi di chi voglia vedere: questa modalità dal punto di vista procedurale non funziona più”. Visti i tempi ristretti, per evitare l’esercizio provvisorio, quello al Senato sarà un passaggio puramente formale senza una discussione sugli emendamenti del governo e la votazione finale avverrà su un testo bloccato. In questo modo tutto “l’esame parlamentare diventa solo una liturgia retorica e vuota”, lamenta Borghi che sottolinea come questa situazione si sta verificando in maniera costante da troppo tempo: “Nel corso di tutti questi anni si sono succeduti diversi governi con diverse maggioranze e tutti indistintamente hanno utilizzato un meccanismo che ha portato a non rispettare il bicameralismo perfetto e quindi a non rispettare il dettato costituzionale stricto sensu”.

 

Per far sì che questa “strozzatura” di uno dei due rami del Parlamento non si verifichi più, il senatore ha lanciato una proposta indirizzata sia alle forze di governo che a quelle di minoranza “perché stiamo parlando delle regole del gioco che interessano tutti e quindi sarebbe interessante provare a rompere questo gioco degli specchi, questo teatrino della commedia dell’arte tra maggioranza e opposizione per cui se c’è una proposta dell’opposizione la maggioranza deve sempre dire di no e viceversa”.

Le soluzioni sono due: seguire il modello inglese che prevede che quando il governo presenta la Legge di Bilancio nelle due camere non ha più possibilità emendativa e modificativa, e il Parlamento, analogamente a quanto avviene nelle fasi di ratifica dei trattati internazionali, può approvare l’intero testo votando a favore o rigettarlo votando contro. In questo modo “non sarebbe dimidiato il potere parlamentare – commenta Borghi – perché il voto di approvazione finale resta comunque delle due camere: si andrebbe quindi verso una distinzione tra le funzioni di indirizzo e di controllo che sono proprie di un Parlamento e funzioni esecutive che sono proprie di un governo”. In alternativa si stabilisce che una volta che il governo ha depositato il disegno di legge “non può più emendarselo e qualsiasi spazio di modifica della manovra è parlamentare”. Il problema che si pone infatti è una “una compressione dello spazio di manovra dell’iniziativa parlamentare proprio perché gli emendamenti del governo hanno la priorità rispetto a quelli parlamentari e vanno a ingolfare, infarcire e infiocchettare una manovra di nuove misure quasi sempre disorganiche, prive di una cabina di regia e costruite all’insegna della parzialità totale o peggio ancora di una volontà politica ostile a persone precise”.

 

Questo modus operandi non riguarda solo questo governo attuale, ma anche quelli precedenti. Per Borghi “il caso più eclatante è stato quello del Conte I”: la legge di Bilancio va depositata entro il 15 ottobre e “se l’approvi il 22 dicembre hai una volontà deliberata di impedire la doppia lettura: non siamo in presenza di sciatteria o imperizia, ma stiamo cadendo nella patologia”. Stabilire che il governo non possa aggiungere nuovi emendamenti è l’unico modo, secondo l’ex dem, per evitare “l’ultimo treno per Yuma da parte delle amministrazioni che attendono l’ultimo tuffo dell’ultima notte”.





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