La gran corsa alla tavola di Natale supera persino il caro spesa

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Che cosa compreranno i pensionati piemontesi con l’aumento delle pensioni minime previsto dal Governo lo racconta la signora Rita tra i banchi della frutta di Porta Palazzo. «Un chilo di finocchi, mi compro». Un chilo spaccato di finocchi italiani. Tanto dovrebbe valere, a fine mese, la perequazione degli assegni minimi. A cui si aggiungono gli 8 euro previsti dalla manovra. Al mercato di piazza della Repubblica con la cifra si può comprare mezzo chilo di radicchio e un euro di resto, oppure quattro chili di clementine. Chi sta dietro al banco dice che i torinesi comprano il minimo indispensabile, ma nel giorno dell’antivigilia basta far due passi tra le bancarelle per ritrovare il buonumore (e la frenesia degli acquisti per la tavola da imbandire). «Tutto va forte per Natale», conferma trafelata una commessa dell’Antica tettoia dell’orologio, che si divide tra gli antipasti di gamberetti e i formaggi erborinati. Il signor Elia è in coda per comprare burratine, tome piemontesi e zizzona di Battipaglia, la «mozzarella da centro tavola». La mangeranno con miele e marmellate al pranzo di domani, che festeggeranno in casa in 14. Spesa per i latticini: 50 euro. Eccolo servito, il pranzo di Natale dei piemontesi che in questi giorni affollano i mercati della città. In casa e “in sharing”, condividendo spese e storie di famiglia.

A casa Penna, in Crocetta, per la cena del 24 si preparano i passatelli in brodo in memoria del nonno piacentino. In Vanchiglia, invece, la signora Dolores cucinerà l’insalata di rinforzo: «Fai bollire il baccalà – racconta – che prima deve stare in acqua tre giorni. Poi aggiungi cavolfiore bollito, olive e peperoni rotondi che noi chiamiamo pappacelle». Quanto mondo c’è, in questo Natale torinese, e quanta storia cittadina sulle tavole delle feste, lo racconta Beppe Gallina, titolare della pescheria che da oltre cent’anni vende il pesce alla città. «Siamo una delle poche regioni senza mare che ha avuto però tre grandi migrazioni da zone abituate al pesce: la prima dal Polesine, poi dal Sud Italia, quella per la Fiat degli anni Settanta, e poi l’ultima, dal Maghreb». Per questo, spiega, Torino ha sempre avuto la sua tradizione di mare. «Oggi i clienti acquistano i classici piatti che fanno la tavola: polpo, capesante, gamberoni e ostriche». Ma le abitudini cambiano e in molti, ormai, preferiscono acquistare il pesce già cotto. Il prezzo? Una settantina di euro in quattro. A passeggiare tra i banchi dei mercati cittadini, la previsione di spesa dei piemontesi pare in linea con quella fotografata l’altro ieri dall’indagine Coldiretti: 108 euro a nucleo per il pranzo di Natale, in leggero calo rispetto all’anno scorso (meno 6 per cento). La stragrande maggioranza (l’88 per cento secondo Coldiretti) passerà le feste in casa. Per chi ha famiglia, il trucco per far fronte all’inflazione è dividersi le preparazioni. Donato De Stefano, foggiano d’origine e dal ‘61 a Torino, apre il trolley in piazza della Repubblica: «Carote, patate, prezzemolo per le acciughe al verde e pomodori secchi». La moglie lo ha mandato a fare la spesa. «Facciamo insalata russa, uova sode con il cappero in punta, cipolline in agrodolce e cartellate. Mio fratello la pasta al forno di pesce e la consuocera il brasato. La cena della vigilia non la facciamo più: da quando è mancata mia mamma manca il collante».

In corso Palestro, la signora Anna consegna la lista al banco dell’Ortolano: radicchio e sedano rosa, melograno, aromi, carciofi già tagliati e l’immancabile frutta secca. «Quanto spenderò? Penso un po’ più di cento euro qui e 150 in gastronomia – racconta –. Ma mangiamo anche a Santo Stefano, sempre a gruppi da 4 o 5 per non affaticare troppo mio papà».

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C’è chi punta sulla spaghettata di vongole della vigilia, chi sui tajarin al sugo di funghi e pure chi, come in casa Penna, proverà addirittura il fusion: hummus e guacamole aspettando il cappone, accompagnati da vini piemontesi. Tentativi pazienti di tenere insieme gusti e famiglie multiple abitualmente disperse. Tanto che poi, nell’abbuffata di parenti, c’è chi preferisce passare le feste da sé. «Purché con piacere e ricordandosi di trattarsi bene» racconta Laura Scalvenzo davanti al banco macelleria. Per la cena del 24 si è presa vitello tonnato e lingua al verde, agnolotti, salame di turgia delle valli di Lanzo e patate. Natale a casa di amici. Per il 26 bollito e agnolotti al ragù. Panettone di pasticceria coperto di cioccolato, farcito di marron glacé. La spesa? «Settanta euro escluso il dolce, ma deve vedere che meraviglia». Jhonatan Flores e suo fratello Jesus, invece, aspettano il bus in corso Regina Margherita. Sono arrivati a Torino cinque anni fa da Lima, in Perù, e questo Natale lo passeranno insieme. «Riso fritto con uvetta e capelli d’angelo e poi maialino al forno con patate. Se c’è qualche amico solo in un’altra città lo invitiamo a venire da noi».



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