«Se la mafia diventa potere, come può il potere combattere se stesso?»

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Se la mafia ha legami col potere, se a volte diventa potere, come può il potere combattere se stesso? Non può. E allora dobbiamo dire – e qui è un’altra puntualizzazione – noi non possiamo parlare di responsabilità di tutti i partiti politici. Noi dobbiamo parlare di responsabilità di quei partiti politici che fino ad oggi hanno detenuto il potere

Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per circa un mese pubblichiamo il libro “L’illegalità protetta”, edito per la prima volta nel 1990 e ristampato nuovamente da Glifo Edizioni, dedicato a Rocco Chinnici e ai giudici del pool antimafia


Ho ascoltato gli interventi di coloro che mi hanno preceduto e ho colto, così, non per polemizzare ma soltanto per puntualizzare ancora di più, certi aspetti del problema mafioso. La mafia. Responsabilità di tutti noi. Il pubblico ministero impersonato dall’ottimo amico dott. Pajno, ha detto: «Noi abbiamo collaborato, col nostro silenzio».

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Da giudice dico che non sono completamente d’accordo con lui. Non si può accusare di collaborazionismo una cittadinanza che ha visto uccidere il titolare dell’albergo Costa Smeralda – mi pare che si chiamava Jannì – che aveva collaborato. Non si può accusare di collaborazione una cittadinanza che non ha alcuna protezione nel potere, una cittadinanza che è stata abbandonata dal potere, una cittadinanza che vede la mafia padrona quasi assoluta della vita, dei beni, degli interessi economici della società. In queste condizioni, io assolverei per insufficienza di prove e non condannerei. In queste condizioni, io direi che semmai si può parlare di paura. Paura che avvinghia. Paur che attanaglia. Paura che fa preferire i tre mesi di carcere per falsa testimonianza o per favoreggiamento, purché si continui a vivere, se vita può essere quella di coloro i quali sono costretti a subire giornalmente la violenza mafiosa.

Ebbene, la parola del cardinale Pappalardo, che ha avut un’eco profonda nelle coscienze dei cattolici e dei non cattolici, che è stata fatta propria dalla più alta autorità spirituale del mondo, da questo Papa che sentiamo tutti vicino a noi per questa grande umanità che caratterizza la sua personalità; bene, questa presa di posizione delle autorità ecclesiastiche è di conforto perché servirà, forse, a dare quel coraggio che il potere costituito, che avrebbe il dovere di dare, non ha saputo dare. Non ha saputo dare.

E si potrebbe dire – e qui divento pubblico ministero io – non ha voluto dare. Quando io, quale relatore, partecipai, nel 1978, al convegno di Grottaferrata, un mio collega, il giudice Guarino, palermitano, ascoltando la mia relazione si soffermò, nel pormi un domanda, su una mia espressione, che è questa: «Il potere ha un rapporto spregiudicato di do ut des con la mafia». «E allora – mi ha detto Guarino – come può il potere, se ha questo rapporto, combattere la mafia?» Un’osservazione intelligente e acuta che mi ha messo in imbarazzo nel dare la risposta. Se la mafia ha legami col potere, se a volte diventa potere, come può il potere combattere se stesso? Non può. E allora dobbiamo dire – e qui è un’altra puntualizzazione – noi non possiamo parlare di responsabilità di tutti i partiti politici. Noi dobbiamo parlare di responsabilità di quei partiti politici che fino ad oggi hanno detenuto il potere. Non si può fare di tutte le erbe un fascio. Dobbiamo essere sereni e obiettivi nel formulare i nostri giudizi.

Le leggi che si fanno – ma io parlerei di leggi che non si fanno. Che leggi ci ha dato il potere dopo le conclusioni cui è pervenuta la Commissione antimafia? Nessuna legge. E allora come non possiamo muovere questo gravissimo appunto al potere: ci avete dato leggi atte a combattere il fenomeno mafioso? Non ce le avete date. Non sappiamo le ragioni: questo non spetta a me giudice, non voglio ergermi a giudice del potere.

Però, questa constatazione io la debbo fare. Noi abbiam dei discorsi commemorativi. Abbiamo lapidi per i magistrati, i funzionari, gli ufficiali che cadono. Ma per la gente che non ha un ruolo ben definito, che rimane vittima della mafia – che poi vittima della mafia è tutta la società nella quale viviamo – che cosa c’è, che cosa c’è stato in passato? Niente. Il silenzio I cento morti di Palermo, che sono più di cento: dobbiamo aggiungere ai morti ufficiali le lupare bianche.

Dobbiamo aggiungere i ragazzi vittime della droga: e non sono questi ragazzi uccisi dalla mafia? Il moderatore mi ha tirato in ballo per la questione della droga.

Guardate, io dico questo: nessuno che abbia una sensibilità normale può esimersi, oggi, dal dare un contributo, qualunque esso sia, alla lotta contro la droga, che poi significa lotta alla mafia.

Perché oggi il binomio è inscindibile: mafia-droga, droga-mafia. Come si può rimanere insensibili di fronte ai ragazzi morti a Palermo

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Quest’anno ne abbiamo avuto tredici. Tredici sono quelli che si sanno: e quei ragazzi che pietosamente vengono indicati come morti per epatite, morti per altre cause, ma che noi sappiamo essere tutti pure vittime della droga? Di questi ragazzi non ci sentiamo noi tutti responsabili? Ecco, a questo punto io devo dire: veramente mi sento responsabile di queste morti.

Perché sono convinto – dobbiamo essere convinti – che nessuno di noi ha fatto quanto era in suo potere per combattere questa che è la più odiosa delle attività mafiose.

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