diciamo le cose fino in fondo – NAUFRAGHI/E

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Ho letto, come molti altri, alcuni recenti articoli pubblicati su Naufraghi che raccontano di un atto censorio avvenuto nella scuola ticinese.

In particolare, il contributo di Stefano Barelli descrive come una sua proposta di testo, destinata agli studenti di età compresa tra i 18 e i 20 anni per un esame scritto di maturità specializzata della Scuola cantonale d’arte (SCA, ex Liceo artistico), sia stata respinta da un’autorità di vigilanza non meglio specificata. Degne di nota sono anche le brevi osservazioni introduttive di  Aurelio Sargenti, che ha avuto il merito di proporre ai lettori e alle lettrici di Naufraghi l’articolo di Barelli. Altrettanto preziose sono le riflessioni di Fabio Camponovo, il quale, muovendo da considerazioni più generali, ha sollevato importanti interrogativi sulla politica educativa perseguita dal DECS negli ultimi quindici anni e sui presupposti che hanno portato a questo intervento censorio.

Le considerazioni espresse in questi tre contributi sono non solo condivisibili ma meriterebbero ulteriori approfondimenti. Tuttavia, su questa vicenda grava un “non detto” che sembra connaturato alla politica del nostro Cantone. Si tratta di quell’ipocrisia tipica del mondo politico cantonale, che si manifesta nello scarto tra le dichiarazioni pubbliche e quanto accade, diciamo così, dietro le quinte, nella pratica politica quotidiana. In particolare, c’è una forte reticenza a contestare i comportamenti o le affermazioni delle persone, liquidando tali critiche come “attacchi personali”, quando invece è il contenuto di quanto esse dicono, fanno o rappresentano a dover essere messo in discussione.

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Non si tratta, naturalmente, di indulgere in pettegolezzi o di esporre comportamenti privati. Si tratta piuttosto di evidenziare come, spesso, le dichiarazioni di principio – quasi sempre attente a risultare “politicamente corrette” – si scontrino con azioni che le contraddicono apertamente. Oppure, più subdolamente, dietro denunce di comportamenti politicamente e culturalmente discutibili, si celano persone che, pubblicamente, vengono celebrate per le loro presunte qualità e capacità.

Veniamo al dunque. Più fonti confermano che a guidare questa operazione censoria siano stati Désirée Mallè e Mattia Pini, nominati lo scorso giugno – in regime di job sharing – alla guida della SIMS (Sezione dell’insegnamento medio superiore) in sostituzione del professor Daniele Sartori, prossimo al pensionamento. Il comunicato del governo con il quale si annunciava la loro nomina ci ricordava che i due nella loro carriera “hanno assunto i ruoli di autori e periti d’esame di maturità e dal 2022 quello di esperti d’italiano per la maturità professionale e specializzata”; ruolo, quest’ultimo, confermato anche dai documenti ufficiali.

La nomina della coppia ha suscitato non poche perplessità nel mondo della scuola, soprattutto perché nessuno dei due ha esperienza di insegnamento nelle Scuole medie superiori (SMS), come si evince dai brevi curricula diffusi dal DECS al momento della nomina. E proprio partendo da queste riserve circolanti nel mondo della scuola, lo scorso 7 luglio ho presentato un’interpellanza parlamentare per chiedere chiarimenti su criteri e metodi di questa scelta, ma ad oggi non ho ricevuto risposta.

Alla luce di questa vicenda, emerge ora un dato preoccupante: i due sembrano condividere una visione della cultura – e dei criteri con cui essa deve essere proposta ai giovani delle SMS – che appare fortemente limitante. La loro concezione del ruolo della letteratura, ad esempio, si rifà a un moralismo conservatore che mortifica ogni seria prospettiva culturale. Al posto di una scuola come crogiolo di idee, di conflitti e di crescita intellettuale, si propone una scuola ancella di un moralismo benpensante, distante dalla complessità e dalla brutalità della società contemporanea.

Come giustamente osserva Fabio Camponovo, “A che pro studiare gli autori della letteratura italiana e internazionale, se non anche per approfondire l’umanità travagliata espressa nei loro testi? Se si dovessero affrontare in classe solo testi che trasmettono un messaggio ‘positivo e speranzoso’, allora dovremmo proibire la lettura di gran parte dei capolavori letterari!”.

Che senso ha, aggiungo, che la direttrice del DECS Marina Carobbio dichiari continuamente e solennemente di voler promuovere la lotta contro la violenza di genere, se poi affida una delle sezioni più importanti del suo dipartimento a persone che, come evidenzia Barelli, considerano “il tema della violenza domestica inopportuno, perché potrebbe urtare la sensibilità degli studenti…”? Secondo questa “autorità”, sarebbe meglio fondare l’esame su un testo che veicoli un messaggio “positivo e speranzoso”.

Siamo di fronte a un classico esempio di quel che dicevo all’inizio: posture “progressiste” di facciata e pratiche che le smentiscono nel concreto. Queste contraddizioni, se non portate alla luce, rimangono ignote ai più e non intaccano l’immagine pubblica dei responsabili politici.

Il piano degli studi liceali, approvato dal Consiglio di Stato il 5 giugno 2024, descrive gli “Orientamenti degli studi liceali” come segue: “Scopo del liceo è offrire agli allievi e alle allieve la possibilità di acquisire solide conoscenze di base e di favorire la formazione di uno spirito d’apertura e di un giudizio indipendente. In una prospettiva di formazione permanente, il liceo, oltre a sviluppare intelligenza, volontà e sensibilità etica ed estetica, privilegia una formazione ampia, equilibrata e coerente, che dia all’allievo/a la maturità necessaria per intraprendere studi superiori e svolgere un ruolo attivo e responsabile nella società”.

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È difficile conciliare queste nobili premesse con la scelta di affidare la guida del SIMS a due figure che, come dimostrato dal loro atto censorio, incarnano una visione chiusa e moralista della cultura. Una visione che tradisce apertamente l’obiettivo dichiarato di promuovere “uno spirito d’apertura”.

Pino Sergi è granconsigliere mps
Nell’immagine: le foglie di fico sono due (job sharing)



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