Goodbye, superamento della legge Fornero. Misurata con il metro delle promesse fatte da alcune forze della maggioranza, la legge di bilancio che il Senato sta per approvare appare vuota come uno stabilimento balneare in inverno.
Un mito propagandato per anni, quello del superamento della Fornero, viene così rottamato. A prescindere dai suoi contorni vaghi e inesatti, quello slogan ha sempre rimandato a un obiettivo preciso: mandare le persone in pensione prima, smontando i capisaldi delle riforme previdenziali che, dai primi anni’90, hanno cercato di rendere sostenibile il sistema pensionistico del nostro Paese. Quel mito, rilanciato dal governo Conte I con la sperimentazione di Quota 100, è sopravvissuto persino al mancato rinnovo di quella misura. Per rottamarlo definitivamente e chiudere il cerchio di un dibattito avviato dalla Lega, ci voleva un ministro leghista all’economia.
La legge di bilancio, infatti, ratifica in toto l’impianto del nostro sistema previdenziale e si limita a prorogare misure temporanee che tutti i governi hanno sempre rinnovato, come Opzione donna (introdotta nel 2004 dal governo Berlusconi), l’Ape sociale (introdotta nel 2016 dal governo Renzi) e Quota 103 (destinata a interessare solo un pugno di lavoratori, a causa della platea ristretta e della scarsa convenienza legata al ricalcolo contributivo).
L’unica novità della manovra è riservata a chi andrà in pensione col contributivo puro (avendo iniziato a versare contributi dal 1996 in poi), consentendogli di usare la pensione complementare per superare il limite di tre volte il minimo e accedere così alla pensione anticipata. Peccato, però, che sia una «legge placebo», priva di effetti reali. Sancisce un principio giusto – quello di considerare il risparmio previdenziale nella sua interezza, sommando il primo pilastro obbligatorio e il secondo complementare – ma poi alza il limite che intendeva superare a 3, 2 volte il minimo. Un gioco delle tre carte.
La rottamazione del mito del superamento della Fornero lascia spazio a un dibattito più concreto sul futuro delle nostre pensioni, nella speranza che le forze politiche sappiano coglierlo. I cambiamenti demografici e lavorativi impongono un ripensamento profondo del welfare. Con le riforme degli ultimi decenni, abbiamo reso il sistema sostenibile, ma a scapito dell’adeguatezza delle pensioni future. In un Paese in cui nascono meno figli e si vive più a lungo, per garantire che lo stato sociale continui a sostenere il benessere delle persone, sarà necessario cambiare: finanziando sempre più le politiche con la fiscalità generale anziché con i contributi; rafforzando la redistribuzione verso chi è in difficoltà; e introducendo misure di «investimento sociale» per favorire la partecipazione al mercato del lavoro, con investimenti in istruzione, formazione e sostegno alle famiglie.
Questi principi generali hanno implicazioni concrete per gli interventi di cui la politica dovrebbe occuparsi. Primo, la previdenza complementare: c’è chi vorrà rafforzarla con forme di obbligatorietà, chi con incentivi fiscali, chi preferirà quella negoziata dalle parti sociali e chi quella individuale, ma promuoverla sarà ineludibile. Secondo, i redditi ponte tra l’uscita dal lavoro e la pensione: c’è chi li immaginerà legati ai contributi versati e chi alle condizioni di bisogno, ma anche questi interventi saranno indispensabili. Terzo, la formazione: c’è chi punterà sulle politiche attive e chi sulla garanzia del reddito per chi deve formarsi, ma per tutti la sfida sarà costruire un sistema di formazione permanente di massa. Quarto, i flussi migratori: c’è chi li vorrà ridotti e legati alle esigenze delle imprese, chi più ampi e fondati su principi di accoglienza, ma senza flussi regolati, anche per ragioni economiche, il nostro stato sociale non reggerà. Quinto, la genitorialità: c’è chi – come l’attuale governo – privilegerà una visione centrata sulla maternità e sulla conciliazione tra lavoro e cura per le madri, e chi invece spingerà per una condivisione più equa della cura all’interno delle famiglie, con congedi paritari tra padri e madri, ma senza politiche più forti sarà difficile colmare il gap che frena l’occupazione femminile. Insomma, centrodestra e centrosinistra avrebbero tanti modi per dividersi su scelte concrete, invece di azzuffarsi su slogan vuoti. Speriamo che tornino a farlo.
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