Trump vuole aumentare l’export di gas verso l’Ue, ma sarebbe un boomerang per l’economia statunitense

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Il presidente eletto degli Usa, Donald Trump, ha dichiarato l’intenzione di imporre «dazi a tutto spiano» all’Unione europea se questa non ridurrà il surplus commerciale verso gli Stati Uniti «acquistando su larga scala» gas e petrolio a stelle e strisce.

Trump entrerà in carica il prossimo 20 gennaio, ma un portavoce della Commissione europea ha già replicato all’Ansa anticipando che l’Ue è «pronta a discutere con Donald Trump come rafforzare la nostra cooperazione, anche nel settore energetico».

Nonostante la presidenza Biden, gli Stati Uniti hanno già oggi il volto del più importante petrostato al mondo, con produzione da record di petrolio e gas fossile, ma spingere l’acceleratore sull’export come intende fare Trump si rivelerà un boomerang non solo per la lotta alla crisi climatica, ma anche per la stessa economia statunitense.

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Solo pochi giorni fa il dipartimento dell’Energia degli Usa ha pubblicato un rapporto sulle esportazioni di gas naturale liquefatto (Gnl), un combustibile fossile che arriva ad avere un’impronta di carbonio pari a tre volte quella del carbone, nonostante venga presentato come una fonte energetica “di transizione”.

Il rapporto s’inserisce a valle della decisione di Biden – arrivata nel gennaio di quest’anno – d’imporre una pausa alle autorizzazioni per nuovi progetti legati all’export di Gnl, e documenta chiaramente i motivi di questa scelta.

Nella presentazione dello studio firmata dal Segretario all’Energia degli Usa, Jennifer Granholm, si afferma che le quantità già approvate per l’esportazione di Gnl equivalgono a circa la metà dell’attuale produzione totale di gas naturale degli Stati Uniti; in 4 dei 5 scenari di modellazione inclusi nello studio, le quantità che sono  già state approvate saranno più che sufficienti a soddisfare la domanda globale di Gnl statunitense per i decenni a venire.

Aumentare ancora l’export di Gnl a stelle e strisce avrebbe come conseguenza quella di aumentare la ricchezza di chi possiede le infrastrutture petrolifere, ma «un’ampia gamma di consumatori nazionali di gas naturale, dalle famiglie agli agricoltori all’industria pesante, si troverebbe ad affrontare prezzi più elevati a causa dell’aumento delle esportazioni».

Il dipartimento dell’Energia Usa stima che l’export senza vincoli di Gnl aumenterebbe del 30% i prezzi all’ingrosso del gas naturale negli Stati Uniti, con costi medi di 100 dollari all’anno per le famiglie, e un impatto ancora più elevato per quelle a basso reddito. Inoltre da qui al 2050 «i costi energetici complessivi per il settore industriale aumenterebbero di 125 miliardi di dollari, portando a potenziali ulteriori aumenti dei prezzi per un’ampia gamma di beni di consumo».

In definitiva, l’analisi del dipartimento dell’Energia espone i consumatori statunitensi a un triplice aumento dei costi dovuto all’aumento delle esportazioni di Gnl: l’aumento del prezzo interno del gas naturale stesso, l’aumento dei prezzi dell’elettricità (il gas naturale è un input chiave in molti mercati energetici statunitensi) e l’aumento dei costi per i consumatori dovuto al passaggio di costi più elevati ai produttori statunitensi.

Deleteri anche gli impatti sotto il profilo climatico: «In ogni scenario, gli aumenti delle esportazioni di Gnl porterebbero ad aumenti delle emissioni nette globali», sottolinea Granholm.

«Il rapporto finale del Dipartimento dell’energia funge da campanello d’allarme per gli acquirenti internazionali: il Gnl statunitense non è energia pulita – commenta il vicedirettore del programma per il clima di Greenpeace Usa, John Noël – Nonostante le affermazioni della nuova amministrazione Trump di voler abbassare i prezzi, la verità è che stanno mettendo i miliardari donatori di combustibili fossili prima degli americani comuni. Il resoconto è cristallino: l’aumento delle esportazioni di Gnl farà aumentare i costi per le aziende e i consumatori nazionali. Punto. Ogni ulteriore investimento nel Gnl non farà che esacerbare la crisi del costo della vita, arricchendo al contempo i ceo dell’industria del gas, che non devono sperimentare le ricadute di vivere vicino a un terminale d’esportazione».

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