In vista delle discussioni sul futuro bilancio dell’UE abbiamo intervistato Oliver Röpke, presidente del Comitato economico e sociale europeo, sui principi che dovrebbero guidare le modalità di elargizione dei fondi di coesione
Mancano ancora alcuni mesi alla presentazione della proposta della Commissione europea sul prossimo bilancio dell’UE per il settennio 2028-2034, ma le indiscrezioni sulla possibile rivoluzione nell’architettura generale e nelle modalità di erogazione dei fondi di coesione stanno preoccupando diversi attori che rappresentano enti territoriali e organizzazioni della società civile dai vari angoli d’Europa.
Tra questi anche il Comitato economico e sociale europeo, il cui presidente Oliver Röpke ha lanciato un allarme sui pericoli che potrebbero emergere dall’estendere ai fondi di coesione un modello simile al Dispositivo per la ripresa e la resilienza (Recovery e Resilience Facility) che governa i Piani nazionali di ripresa e resilienza (PNRR).
Si potrebbe passare dalla miriade di diversi programmi attualmente esistenti a un unico programma per ciascun stato membro, incaricato di gestire e distribuire le risorse della politica di coesione, e questa distribuzione sarebbe condizionata all’attuazione di precise riforme concordate tra i vari governi e la Commissione europea.
“La creazione di un’unica dotazione per ogni Stato membro metterebbe seriamente a rischio i principi della politica di coesione”, dichiara però Oliver Röpke in questa intervista rilasciata ad OBCT.
Qual è la posizione del Comitato economico e sociale europeo sulla possibile assimilazione della politica di coesione al modello introdotto con i diversi PNRR?
Il Comitato respinge l’idea di trasformare la politica di coesione in uno strumento simile al Dispositivo per la ripresa e la resilienza. Quell’esperienza ha mostrato la mancanza di un coinvolgimento strutturato degli attori della società civile e dei partner sociali: è un approccio dall’alto verso il basso che non è compatibile con la politica di coesione.
Potrebbe sì esserci bisogno di alcune riforme per rendere la politica di coesione dell’UE più efficace, ma riteniamo che non sia una buona idea procedere in questa direzione.
E in quale direzione sarebbe meglio procedere, dunque?
Anche nell’attuale politica di coesione vediamo che talvolta gli investimenti sono effettuati senza un adeguato coinvolgimento dei partner sociali e degli attori regionali sul campo. Questo è invece un presupposto fondamentale di quella politica, che potrebbe sicuramente essere migliorato.
Si può anche esprimere una valutazione critica sui risultati di alcuni degli investimenti realizzati, ma non possiamo sostenere uno spostamento verso una maggiore centralizzazione. A quanto ci risulta, anche molti Stati membri nutrono forti riserve rispetto a questa ipotesi, compresa la Polonia, che deterrà la prossima presidenza di turno [del Consiglio dell’UE, ndr].
Quali rischi comporterebbe per le organizzazioni della società civile l’adozione di un modello simile a quello che governa i PNRR?
Il rischio maggiore è che sarebbe messa in pericolo la funzione sociale della politica di coesione – cioè promuovere una maggiore convergenza sociale all’interno dell’UE. Al centro di questa politica europea deve esserci una forte partecipazione di tutti gli attori sociali.
Il Comitato economico e sociale europeo è stato molto coinvolto in questo, e la commissaria europea Elisa Ferreira [responsabile della coesione e delle riforme nel 2019-2024, ndr] si è impegnata al massimo per includere la società civile e i partner sociali in tutte le principali attività e discussioni sul futuro della politica di coesione dopo la conclusione dell’attuale ciclo nel 2027. Abbiamo espresso le nostre opinioni, spesso in accordo con il Comitato europeo delle Regioni. Questo approccio deve continuare – è questa la nostra richiesta per la nuova Commissione europea.
A proposito della nuova Commissione, il Comitato che lei presiede teme che il commissario alla coesione Raffaele Fitto possa sostenere la spinta verso una maggiore centralizzazione dei programmi di coesione?
Finora non abbiamo visto proposte ufficiali, ma alcune fughe di documenti ci hanno allarmato, perché abbiamo appreso che si prospetta l’adozione di un unico Piano per ogni Stato membro. Questo non è ciò che vogliamo, né ciò che potremo accettare. Sembra esserci l’idea di legare più strettamente gli investimenti della coesione all’attuazione di alcuni obiettivi politici, seguendo un approccio simile a quello dei PNRR, e contro questa prospettiva reagiamo con forza.
D’altra parte siamo pienamente impegnati a lavorare con il nuovo commissario per trovare una visione comune sulla politica di coesione, rafforzando la governance multilivello dell’UE e ponendo la sussidiarietà – e non la centralizzazione – al centro.
Su quali principi dovrebbe dunque basarsi secondo lei la futura politica di coesione?
Il Comitato economico e sociale europeo ha sempre sostenuto con forza la politica di coesione, in quanto uno dei principali strumenti di investimento dell’Unione europea; è il collante che tiene unita l’UE. Ecco perché i principi su cui si basa devono essere mantenuti anche in futuro: partenariati, governance multilivello e regole chiare per il coinvolgimento della società civile. “Non lasciare indietro nessuno” deve rimanere una precondizione imprescindibile.
Chiediamo un forte coinvolgimento della società civile nell’elaborazione del Quadro finanziario pluriennale 2028-2034. Per noi è cruciale che tutti gli attori sociali, economici e regionali siano pienamente coinvolti.
E su cosa si dovrebbe concentrare maggiormente la Commissione europea nell’imminente proposta per il futuro bilancio dell’UE?
Potrebbero essere necessarie delle riforme per rendere la politica di coesione più efficace e mirata, ma i tre principi fondamentali che ho citato non devono essere trascurati. Se invece si procedesse verso una maggiore centralizzazione dei fondi di coesione, questi principi e la gestione regionale ne risulterebbero compromessi. È una posizione che condividiamo con il Comitato europeo delle Regioni.
Siamo inoltre contrari a basare il bilancio dell’UE più sulle politiche che sui programmi: uno dei grandi vantaggi della politica di coesione è la possibilità di effettuare investimenti su misura per le diverse regioni, promuovendo la coesione sociale con un approccio dal basso verso l’alto e rispettando le caratteristiche dei singoli territori. Un approccio basato sulle politiche – dall’alto verso il basso – metterebbe a rischio soprattutto i gruppi più vulnerabili all’interno dei diversi Paesi membri.
Un terzo punto da menzionare è la necessità di mantenere la politica di coesione orientata ai risultati. Questo significa concentrarsi di più sui collegamenti regionali, sull’efficacia dei risultati e sulle opportunità che vengono offerte ai beneficiari. Al momento il nostro Comitato sta lavorando su un parere a questo riguardo, che presenteremo all’inizio del prossimo anno e che sarà discusso in uno degli incontri informali del Consiglio dell’UE a cui parteciperò.
In prospettiva, l’adesione di nuovi Stati membri potrebbe esercitare ulteriori pressioni sulla politica di coesione. È necessario pensare a un aumento delle risorse allocate?
Il Comitato economico e sociale europeo appoggia con forza l’allargamento dell’Unione, così come la società civile nei Paesi candidati all’adesione.
La politica di coesione dovrebbe tenere già in considerazione i futuri allargamenti: chiediamo che il futuro bilancio dell’UE sia più forte e ambizioso. Questo è assolutamente necessario, anche in vista dei futuri investimenti dell’UE nella difesa e nei nuovi Stati membri. Servono finanziamenti adeguati per evitare competizioni tra i beneficiari esistenti della politica di coesione e gli Stati che entreranno in futuro.
Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto “Cohesion4Climate” cofinanziato dall’Unione europea. L’UE non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto; la responsabilità sui contenuti è unicamente di OBCT.
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