Messina, il comandante provinciale dei carabinieri Lucio Arcidiacono: «Così ho catturato Messina Denaro»

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Colonnello Lucio Arcidiacono, da settembre lei è comandante provinciale dei carabinieri a Messina. Ma se le dico 16 gennaio 2023, cosa pensa subito?
«Penso a un giorno che resterà impresso nella mia memoria per sempre, a un giorno in cui lo Stato ha vinto e chiuso definitivamente la stagione corleonese con la cattura dell’ultimo dei mafiosi condannati per le stragi, che non era stato ancora assicurato alla giustizia. È una data che non rappresenta solo la cattura di Matteo Messina Denaro e alla quale arriviamo dopo anni di indagini, sacrifici personali e familiari, notti insonni e tantissimi momenti di esaltazione, a cui purtroppo sono seguiti momenti molto duri dove per un attimo pensavamo di avere sbagliato tutto. Il 16 gennaio 2023 è il simbolo di un percorso lungo, in cui ogni piccolo passo ci ha avvicinato all’obiettivo, e di una promessa mantenuta verso le vittime innocenti di mafia, verso chi ha combattuto prima di noi, come il nostro maresciallo Filippo Salvi, e verso lo Stato. È il giorno in cui abbiamo dimostrato, una volta di più, che nessuno è al di sopra della legge, nemmeno un mafioso come Matteo Messina Denaro, che per anni si è nascosto dietro l’ombra di un mito».

Parliamo di quell’istante infinito della cattura… lo racconti ai nostri lettori: la preparazione, le emozioni, il “faccia a faccia”…
«Quell’istante è il frutto di anni di lavoro intenso, meticoloso, silenzioso, sviluppato in totale segretezza all’interno di un perimetro limitatissimo, fatto di carabinieri che hanno speso la loro vita per vivere quel momento. Le indagini sono state lunghe e complesse: ogni pista veniva seguita fino in fondo, ogni errore analizzato al termine delle giornate in riunioni dove venivano esposte tutte le risultanze investigative e questo era necessario per imparare e apportare i necessari aggiustamenti. La preparazione dell’intervento è stata fondamentale perché, quando ci si avvicina a un obiettivo di questa portata, non si può lasciare nulla al caso e si crede di avere un solo colpo a disposizione per centrarlo. Venivamo da notti insonni e solo il 13 sera eravamo riusciti a bucare il sistema informatico della clinica palermitana, scoprendo che il paziente Andrea Bonafede si sarebbe dovuto presentare il 16 mattina presso quella struttura sanitaria per ricevere delle cure. Quel giorno tutto era pronto. Pur non avendolo ancora visto, grazie alle indagini sviluppate freneticamente nell’ultimo periodo, sapevamo che dietro il nome di Bonafede si nascondeva il latitante più ricercato, e fino all’ultimo abbiamo mantenuto la concentrazione necessaria, perché un solo errore avrebbe potuto compromettere tutto. Del momento dell’intervento conservo tante istantanee: l’attesa nel parcheggio di un’area commerciale, la comunicazione ricevuta della avvenuta accettazione in clinica del paziente Bonafede, la corsa per intervenire all’interno della struttura sanitaria e per cinturare l’area all’esterno, precauzione questa che si è rivelata determinante, le telefonate con il generale Angelosanto e con il procuratore de Lucia, l’abbraccio con i miei carabinieri e gli applausi della gente comune che aveva compreso che era accaduto qualcosa di importante. Quando ho visto quell’uomo seduto sul marciapiede, bloccato dai miei carabinieri, ho capito subito che era Matteo Messina Denaro ancora prima che lui stesso me lo confermasse. C’è stato un attimo in cui il tempo sembrava sospeso e il “faccia a faccia” non ha avuto bisogno di troppe parole. Negli occhi del catturato, e non più del latitante come eravamo abituati a indicarlo per troppi anni, ho visto solo rassegnazione e sconfitta. È stato un momento intenso, che porterò sempre con me al pari di quando poi siamo stati ricevuti dal Presidente Sergio Mattarella, che ci ha ringraziato a nome della Repubblica».

Lei è finito inevitabilmente sotto i riflettori mondiali dopo la cattura di Messina Denaro. A distanza di tempo, cosa rimane davvero di quel periodo?
«Rimane tanto, ma soprattutto rimane l’intima soddisfazione di avere dato un contributo determinante affinché lo Stato vincesse questa sfida e affermasse la supremazia della legge contro la protervia del potere mafioso. Rimane anche una lezione: la cattura di un latitante come Matteo Messina Denaro non è mai solo una questione investigativa. È un messaggio. È la dimostrazione che lo Stato non dimentica e non si ferma, anche quando l’obiettivo sembra lontano. La luce dei riflettori si spegne, ma il nostro lavoro continua perché certamente quel giorno è stata vinta una battaglia durissima ma la guerra contro la mafia non è purtroppo ancora finita».

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