Acqua, energia, trasporti: con il progetto Isos le micro isole di Italia e Francia hanno condiviso buone pratiche sostenibili per l’ambiente. Così la politica di coesione supporta le piccole realtà e le aiuta a resistere. Il coinvolgimento degli abitanti e la Strategia nazionale per le aree interne
Illuminare una via pubblica con lampioni a energia solare senza disturbare gli uccelli che nidificano sulla scogliera. Acquistare un biotrituratore per triturare i materiali di risulta delle lavorazioni del verde pubblico. Riprendere l’antica coltura delle viti, che a Capraia – a 50 chilometri dalla costa toscana – può ancora avere un futuro. Sono alcuni dei risultati più tangibili del progetto Isos, Isole sostenibili, che ha portato la cooperazione transfrontaliera nel cuore del Mediterraneo.
L’iniziativa ha unito Italia e Francia mettendo in rete alcune piccole isole che hanno condiviso soluzioni innovative per la gestione delle risorse naturali (acqua, energia, rifiuti) e la conservazione del patrimonio culturale. Un esempio di come lo scambio di esperienze possa formare pratiche e conoscenze per una transizione più giusta; ma anche un progetto che mostra come la coesione dia la possibilità ai “piccoli” di trovare nuovi modi per resistere in un contesto difficile.
Per un’isola sostenibile
Tra le isole coinvolte ci sono Capraia, Tavolara e Palmaria, sparse tra Toscana, Sardegna e Liguria, e alcune realtà francesi: le isole di Lérins e l’arcipelago di Hyères (in Costa Azzurra) e quello di Lavezzi (in Corsica). Territori fragili, alle prese con l’affluenza turistica – sono frequentati d’estate e quasi disabitati d’inverno – e la promozione di un ricco patrimonio, che riassumono molte delle sfide che ci attendono: sono i primi a essere colpiti dalla mancanza di risorse idriche, dalla complicata gestione dei rifiuti e dai cambiamenti dell’agricoltura.
«A Capraia abbiamo lavorato per ridurre i consumi energetici puntando sulle fonti rinnovabili, migliorare il ciclo dei rifiuti e valorizzare il patrimonio culturale», ha detto Francesca Giannini, ricercatrice del Parco nazionale arcipelago toscano, all’evento che #CoesioneItalia ha dedicato al progetto. «Oggi la nostra corrente viene da una centrale alimentata a biodiesel, traiamo l’acqua dal mare e la desalinizziamo, abbiamo pannelli solari su edifici pubblici e privati», ha aggiunto Massimiliano Della Rosa, vicesindaco di Capraia.
Il progetto, durato 36 mesi, è stato sostenuto e cofinanziato nell’ambito del programma Interreg Italia-Francia Marittimo per un importo di quasi un milione e mezzo di euro. Dei successi e degli errori si è fatto tesoro per l’avvio di Isos plus, sostenuto con una seconda sovvenzione da 498mila euro. Interreg è un programma del Fondo europeo di sviluppo regionale (Fesr) per la cooperazione tra regioni dell’Ue che mira a evitare che i confini nazionali ostacolino lo sviluppo e l’integrazione europea.
Un impatto più ampio
Ma per fare sì che il progetto avesse un vero impatto era importante non limitarsi a singoli interventi, ma favorire la partecipazione diretta delle comunità, promuovendo il dialogo tra cittadini, stakeholder e politici. Per questo Isos ha previsto workshop tecnici, conferenze e la mobilitazione di esperti del settore. Ad esempio, grazie al progetto Asoc, licei e istituti tecnici italiani e francesi hanno svolto un monitoraggio “gemellato” dell’avanzamento di Isos.
Oggi il progetto continua nell’ambito di Smilo (Small islands organisation), una ong che sostiene le piccole isole impegnate in una gestione più sostenibile, all’insegna della conservazione delle risorse e della biodiversità. «Con Isos abbiamo affrontato problemi comuni tra Italia e Francia, ora con altri programmi possiamo scalare a un livello superiore», ha detto Filippo Giabbani, responsabile delle attività internazionali della regione Toscana. «Penso a Euro Med, che riguarda la sponda nord del Mediterraneo, o a Next Med, che coinvolge la sponda sud (dal Marocco fino alla Libia)».
Marginali e svantaggiati
La storia di Isos conferma che, con i fondi di coesione, i piccoli Davide hanno più strumenti per resistere ai grandi Golia. Del resto i bandi europei non sempre sono accessibili alle piccole realtà, con molte organizzazioni che non vi si avvicinano temendo di imbarcarsi in avventure più grandi di loro: per gli attori meno strutturati è quindi meglio unire le forze e associarsi a partner con maggiore esperienza, in modo da essere meno esposti alle difficoltà gestionali dei progetti.
Un altro esempio di come i fondi strutturali offrano grandi opportunità ai centri più piccoli è dato dalla Strategia nazionale per le aree interne (Snai), avviata con il ciclo di programmazione 2014-2020 e che mira a contrastare il declino demografico di larga parte dei territori montani, dalle Alpi agli Appennini. Aree “marginali”, distanti dalle città con i migliori servizi, ma che coprono la metà dei comuni italiani e in cui vive un quarto della popolazione.
Un’Italia che non è fatta solo di ridenti “borghi” patinati, ma di tanti “paesi” sparsi da nord a sud che a volte lottano per sopravvivere. L’obiettivo della Strategia per le aree interne, quindi, è duplice: assicurare a tutti il pieno accesso ai diritti essenziali di cittadinanza (istruzione, servizi sociosanitari, trasporto pubblico locale) e favorire lo sviluppo economico e la manutenzione del territorio.
La Snai è sostenuta da risorse nazionali e da fondi europei (Fesr, Fse e Feasr). Nel ciclo 2014-2020 ha coinvolto 72 aree e per il 2021-2027 se ne sono aggiunte 56. Della Strategia fa parte anche il progetto speciale Isole minori, che interessa i 35 comuni su cui insistono le nostre isole. In fondo è una risoluzione del Parlamento europeo a riconoscere l’insularità come «uno svantaggio permanente», con difficoltà nell’accesso a scuole e ospedali per cui bisogna intervenire in fretta.
Questo contenuto giornalistico fa parte del progetto “#CoesioneItalia. L’Europa vicina”, che è finanziato dall’Unione europea. I punti di vista e le opinioni espresse sono tuttavia esclusivamente quelli dell’autore e non riflettono necessariamente quelli dell’Ue. Né l’Ue né l’autorità che eroga il finanziamento possono essere ritenute responsabili per tali opinioni.
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