ALZHEIMER/ Non si guarisce, ma c’è una battaglia che offre nuove opportunità di vita

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Luisa Bartorelli è stata per vent’anni primario ospedaliero di geriatria a Roma. Nella sua vita si è sempre distinta nel promuovere, progettare e sperimentare una rete di servizi nel territorio dedicata agli anziani, in particolare alle persone con demenza, impegnandosi inoltre nella formazione degli operatori. Past President di Alzheimer Uniti Italia e per il Lazio dell’Associazione Italiana di Psicogeriatria, fa parte del Tavolo per il monitoraggio e l’implementazione del Piano Nazionale Demenze dell’Istituto Superiore di Sanità. Per Carocci ha pubblicato, tra l’altro, Le buone pratiche per l’Alzheimer e I volti dell’Alzheimer.



Professoressa Bartorelli, come e perché ha iniziato a occuparsi di Alzheimer?

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Mi sono iscritta a medicina per amore di un marito medico, lasciando gli studi umanistici che avevo intrapreso a causa della mia passione per l’archeologia.

Un bel cambio di studi, non c’è che dire.

Non c’è dubbio che quell’inizio mi abbia molto condizionato, tanto è vero che ho scelto di specializzarmi in geriatria, passando dalle vecchie pietre ai vecchi uomini! Così ho fatto il medico, ma con una sensibilità che proveniva da un diverso approccio culturale; poi nello studio dell’invecchiamento mi hanno sempre affascinato i processi mentali tra fisiologia e patologia e quindi mi sono imbattuta nell’Alzheimer.



In questi anni come si è evoluta l’Alzheimer nella nostra società?

Il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione, molto rilevante in Italia, ha fatto sì che il numero di persone con malattia di Alzheimer sia stimato a poco meno di un milione di casi, visto che la sua prevalenza cresce con l’aumentare della fascia d’età, diventando una priorità sociale. Esistono altri tipi di demenza, come quella vascolare, la demenza frontotemporale, quella a Corpi di Lewy e altre che portano la stima a perlomeno 1.200.000 casi.

Quali strategie sono state messe in campo per contrastare?

Nonostante tanta ricerca clinica e il grande impegno degli operatori del settore, solo all’inizio del 2015 è uscito in Gazzetta Ufficiale il primo Piano Nazionale Demenze, che ha preso atto di tale incidenza e della necessità di una rete di servizi dedicati alla presa in carico delle persone in tutte le fasi di malattia. Ora il Tavolo nazionale, coordinato dall’Istituto Superiore di Sanità, che raduna esperti del settore, dirigenti regionali di riferimento e rappresentanti delle associazioni dei malati e dei loro caregiver, esprime linee guida e altri documenti per i cosiddetti PDTA (Percorsi diagnostici-terapeutici-assistenziali).

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Si può curare e si può guarire dall’Alzheimer ?

Attualmente non vi è una prospettiva di guarigione. La ricerca farmacologica ha prodotto e produce sostanze che evidenziano temporanei miglioramenti su alcuni parametri cognitivi, ma solo in certe persone e in certi stadi di malattia. Tuttavia emergono evidenze scientifiche che anche alcuni interventi non farmacologici possono farne rallentare il decorso, valorizzando le capacità ancora conservate della persona e dandole benessere.

Insomma, c’è una piccola via d’uscita.

Affinché il processo di malattia non sia una strada senza uscita e un decorso già scontato nei risultati, si tratta dunque di non considerare la demenza un morbo, come ancora talvolta si legge, ma piuttosto come una condizione dell’essere, dotata ancora di energia, che può offrire molte opportunità di vita!

Quindi?

Tali premesse portano appunto alla convinzione che se ancora non esiste la cura che guarisce, è possibile attuare le cure, interventi globali che portino stabilità e benessere alla persona, facendo leva sulle tre sfere, clinica, psico-sociale e ambientale; sulle tre dimensioni corpo, mente, spirito. Inoltre, influisce grandemente sull’efficacia delle cure anche la formazione dei caregiver alla difficile relazione con il proprio assistito.

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Data l’enorme casistica che ha avuto di fronte, ha capito anche se e quanto gli stili di vita influiscono sulla malattia?

Ormai numerosi studi longitudinali hanno evidenziato fattori protettivi e fattori di rischio modificabili, questi ultimi addirittura in numero di 12:  bassa istruzione, disturbi dell’udito, ipertensione, fumo, obesità, depressione, inattività fisica, diabete, isolamento sociale, consumo di alcol, traumi cranici, inquinamento atmosferico.

Ma gli anni non si possono cambiare.

Infatti l’unico fattore non modificabile è l’età! Certamente molti riguardano lo stile di vita: la scolarità, l’educazione, una corretta alimentazione, il controllo di malattie croniche, ma anche gli interessi culturali e la socializzazione. Aggiungo da geriatra che la capacità di adattamento alle nuove situazioni che la vita via via ti pone davanti è utile alla prevenzione anche dell’Alzheimer.

C’è una predisposizione genetica nei malati di Alzheimer?

È una domanda che quasi tutti i caregiver pongono agli esperti: è la paura genetica! Cerchiamo sempre di rassicurare. È vero che esiste un Alzheimer ”genetico”, ma incide per meno del 1% riguardando ceppi di popolazione circoscritti , in cui sono evidenti casi d’insorgenza molto precoce nell’albero genealogico. Niente a che vedere con l’invecchiamento.

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C’è un paziente che ricorda più di altri? E se sì, per quale motivo?

È una domanda che mi mette in imbarazzo, perché mi si para dinanzi un caleidoscopio di nomi, di visi e soprattutto di voci che mi sono state o mi sono care. Me la cavo così. Proprio ieri ho avuto un incontro che mi ha molto commosso: sono entrata in uno dei Caffè Memoria della nostra associazione Alzheimer Uniti e una signora, che non vedevo da un po’ di tempo, mi è venuta incontro e mi ha detto con un sorriso: “io mi dimentico di tutto, ma di te non mi dimentico”, e mi ha abbracciato!

Come vede il futuro per la cura dell’Alzheimer?

La mia filosofia di fondo verso la persona affetta da demenza deriva da convinzioni profonde maturate in tanti anni di servizio nelle istituzioni, ma anche in stretta vicinanza con i malati e le loro famiglie. La centralità della persona, la sua unicità e la necessità di adeguare il sapere medico alla complessità dei fenomeni, così come si manifestano nel mondo reale, sono elementi essenziali per una presa in carico efficace.

Insomma la sfida alla malattia continua.

Molti sono i problemi da comprendere e affrontare nella vita quotidiana, come il dormire, il mangiare, il guidare, il rischio di perdersi; molti sono i possibili interventi psicosociali, anzi eco-psicosociali, dando appunto forte importanza all’ambiente, ma sempre tenendo conto della storia e del carattere di ogni persona, della quale è necessario ascoltare la voce.

(Clara Ajmone)

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