Ostacolare il salvataggio dei naufraghi vietando lo sbarco produce effetti lesivi nella sfera giuridica delle persone recuperate in alto mare. Per questo riteniamo sbagliata la sentenza di Palermo che ha assolto Matteo Salvini
Alla scontata esultanza dei leghisti per l’assoluzione di Salvini si è unita quella di esponenti di spicco del governo, a partire dalla premier Giorgia Meloni, che ha espresso la sua “grande soddisfazione” per il verdetto. Questo giudizio, secondo Meloni, dimostra l’infondatezza delle accuse rivolte al vicepremier, sottolineando come la sentenza rappresenti una vittoria non solo per Salvini, ma per l’intero esecutivo. Comprendiamo l’esultanza della Meloni per questa “vittoria” dopo le tante batoste giudiziarie ricevute dal suo esecutivo, l’ultima il 19 dicembre dalla Corte di Cassazione che ha confermato il potere/dovere dei giudici di sindacare i decreti sui Paesi sicuri.
Non comprendiamo, invece, le reazioni di chi, dal lato opposto, parte dall’assoluzione per censurare come controproducente l’intervento giudiziario in quanto rivolto a risolvere attraverso la via giudiziaria questioni politiche. E’ ben vero che non è concepibile una via giudiziaria per modificare un orientamento politico, ma la Costituzione, le leggi, il diritto internazionale dei diritti umani, tracciano delle regole che rappresentano dei limiti all’esercizio dei pubblici poteri. E’ compito di un altro potere (il giudiziario) assicurarsi che questi limiti non vengano violati. L’indipendenza della magistratura è garantita dalla Costituzione proprio per consentire ai giudici di sindacare gli abusi dei poteri pubblici e privati, a tutela dei diritti inviolabili dell’uomo. Quando un pubblico potere si avvia lungo una strada che produce discriminazioni, disprezzo dei diritti inviolabili di singoli o di categorie di persone, l’intervento giudiziario assume necessariamente – a prescindere dall’orientamento dei singoli giudici – una funzione contromaggioritaria. Di questa funzione non dobbiamo scandalizzarci, come fa la destra al governo, perché è un segnale di vitalità della nostra democrazia. Questo segnale non è venuto da Palermo. Anche se non conosciamo le motivazioni della sentenza, il dibattito processuale e la formula adottata ci danno sufficienti informazioni per capire il principio di diritto a cui si è ispirata la decisione. Alla luce delle intimidazioni rivolte ai giudici, il primo pensiero va al principio di diritto che Alessandro Manzoni esprime per bocca di don Abbondio: il coraggio se uno non ce l’ha non se lo può dare. Ma non è questo il punto dirimente. L’assoluzione “perché il fatto non sussiste”, non esclude la sussistenza del fatto materiale contestato (cioè di aver impedito di portare a termine il salvataggio dei profughi recuperati in alto mare dalla nave Open Arms, vietando lo sbarco), ma esclude che il fatto contestato sia qualificabile come reato. Se in ordine all’imputazione di sequestro di persona poteva sorgere qualche dubbio sulla corrispondenza con la fattispecie tipica di cui all’art. 605 del codice penale, l’assoluzione anche per il reato di rifiuto doloso di atti d’ufficio, dimostra che il Tribunale di Palermo non ha effettuato una valutazione di merito della condotta ascritta al Ministro, ritenendola insindacabile in quanto “atto politico”, come rivendicato dalla difesa di Salvini. Il nodo giuridico in questo processo verte proprio in ordine alla natura e alla delimitazione dei confini dell’atto politico, cioè di quegli atti delle autorità di governo che non sono sindacabili dal potere giudiziario. In un ordinamento democratico l’ambito di operatività dell’atto politico è minimo, mentre è massimo nelle dittature. La Cassazione ha chiarito quali siano i limiti dell’atto politico nel nostro ordinamento, da ultimo con la sentenza n.33398/2024 depositata il 19 dicembre, dove osserva che: “La nozione di atto politico è di stretta interpretazione ed ha carattere eccezionale, atteso che il principio di giustiziabilità degli atti del pubblico potere costituisce un profilo fondante della Costituzione italiana (Cass., Sez. Un., 1° giugno 2023, n. 15601) (..) Nella stessa direzione cospira l’art. 113 Cost., letto in connessione con l’art. 24 Cost. Essi esprimono il principio di legalità-giustiziabilità: le posizioni giuridiche soggettive esigono una tutela e, quindi, nessun atto riconducibile alla funzione amministrativa che produca effetti lesivi rispetto a tali situazioni può essere considerato non sindacabile.”
A nostro parere, ostacolare il salvataggio dei naufraghi vietando lo sbarco produce effetti lesivi nella sfera giuridica delle persone recuperate in alto mare. Per questo riteniamo sbagliata la sentenza di Palermo. Se l’Autorità giudiziaria allarga i confini dell’atto politico, viene favorita quella torsione autoritaria che caratterizza la politica attuale, non solo in Italia. Non è solo un problema di migranti, se cadono le barriere erette dalla Costituzione all’insindacabilità degli atti di governo, si possono verificare effetti paradossali. Basti pensare a quella – per fortuna isolata -ordinanza delle Sezioni Unite della Cassazione, depositata nel giugno del 2002, che ha dichiarato “atto politico” una strage compiuta dalla NATO a Belgrado in cui furono uccise 16 persone.
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