Deficit, taglio dei tassi e sostegno ai consumi. La Cina si prepara all’era Trump

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Muoversi per le strade di Shanghai negli ultimi tempi vuol dire essere costretti un po’ ovunque a fare lo slalom tra ruspe, squadre di operai al lavoro e cantieri vari. Lo stimolo varato per il 2025 ha già preso l’abbrivio, e non è che l’inizio: sarà, se necessario, intensificato dopo una verifica dei primi contraccolpi sull’economia cinese dei super dazi minacciati da Donald Trump. Attese dal mercato e dai policymaker, le misure annunciate da Pechino dovranno sostenere la crescita agendo contemporaneamente sulla politica fiscale, su quella monetaria e incentivando la spesa dei consumatori.

Sono state la riunione mensile dell’ufficio politico del Partito comunista cinese (la leadership allargata di 24 membri) e l’annuale Conferenza sul lavoro economico – svoltesi entrambe la scorsa settimana – a delineare gli obiettivi e la politica economica che il governo seguirà nel 2025, compresa la risposta che arriverà dalla seconda economia del pianeta quando l’amministrazione Trump (che si insedierà il 20 gennaio) imporrà tariffe fino al 60 percento sulle merci importate negli Usa dalla Cina. Un problema non da poco per quella che resta la “fabbrica del mondo”, tuttora dipendente dalle esportazioni, in una fase in cui l’onda lunga della rigida gestione della pandemia e della crisi del settore immobiliare continuano a frenare i consumi delle famiglie e gli investimenti delle imprese private.

La “Nuova era” proclamata dal presidente cinese al XIX congresso (18-24 ottobre 2017) ha ridato slancio all’ideologia (un pot-pourri di nazionalismo, marxismo sinizzato e confucianesimo), ma le conseguenze del Covid-19 hanno infine rimesso al centro l’imperativo dello sviluppo economico, che resta il principale pilastro della legittimità del governo del partito unico che ha appena compiuto 75 anni. È su questo che continua a misurarsi la stabilità del regime, sulla sua capacità di fornire risposte ai bisogni della popolazione: reddito, sanità, servizi sociali, pensioni.

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La leadership cinese ostenta ottimismo. «Mentre l’impatto dei cambiamenti esterni si aggrava e l’economia cinese deve ancora affrontare molte difficoltà e sfide, dobbiamo renderci conto che la tendenza economica al rialzo della Cina non è ancora cambiata», si legge nel comunicato finale della Conferenza.

Isola felice

E così a marzo – dopo che il partito avrà studiato le prime mosse di Trump – l’Assemblea nazionale del popolo (Anp) dovrebbe svelare un obiettivo di crescita del Pil del 5 per cento anche per il 2025, difficile da centrare secondo gli analisti cinesi, che scommettono sul 4 o poco più.

Comunque meglio degli Stati Uniti, che secondo Goldman Sachs cresceranno del 2,5, e dell’Unione Europea, le cui stime prevedono un aumento del prodotto interno lordo dell’1,5 per cento. Dati che la propaganda sottolinea, assieme alla “stabilità” del paese, mentre altre aree del pianeta sono scosse dalla guerra e in Europa i governi cadono come birilli.

La Cina non ha ancora il potere politico, militare e finanziario che con Xi ha iniziato a reclamare, ma agli occhi dei suoi giovani iper-connessi è un’isola felice e “sicura”, che cresce più lentamente che in passato, ma che prosegue nella direzione indicata fin dal Movimento di autorafforzamento, nella seconda metà dell’Ottocento: rendere il paese ricco e forte.

E ora, con i provvedimenti messi in campo – i cui dettagli saranno resi noti durante l’Anp e che dovrebbero far sentire i loro effetti a partire dal terzo-quarto trimestre dell’anno prossimo -, Pechino mostra di non temere la minaccia Trump.

La Cina – sostiene la leadership del partito – ha pronta la “cassetta degli attrezzi” per riparare i danni che le saranno causati dalle politiche della prossima amministrazione Usa. Pechino scommette essenzialmente sulla sua capacità di aumentare progressivamente il deficit, di continuare a tagliare i tassi d’interesse e sostenere la spesa delle famiglie.

Consumare, consumare, consumare. Al primo posto nel documento approvato dalla Conferenza troviamo il tentativo di «stimolare vigorosamente i consumi, migliorare l’efficienza degli investimenti ed espandere la domanda interna a tutto tondo». Un mantra ripetuto da tempo nei documenti ufficiali del partito, che diventa ancora più insistente nel momento in cui per il commercio internazionale è in arrivo il maremoto Trump. Ma che equivale anche ad ammettere le difficoltà: dopo il Covid il potenziale di spesa della classe media (circa 400 milioni di persone) è rimasto frenato dai timori per l’andamento generale dell’economia nazionale, e langue sui conti correnti. Il mese scorso le vendite al dettaglio hanno fatto registrare un deludente +3 per cento e sono in discesa continua da un anno.

Gig economy e precariato

Questo perché – secondo gli economisti cinesi – c’è scarsa fiducia nell’occupazione di qualità (precariato e salari bassi contraddistinguono anche la gig economy cinese), nella crescita del reddito, nella stabilizzazione del mercato immobiliare e nel miglioramento dei servizi pubblici di base.

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Il governo finora ha agito soprattutto sul lato dell’offerta e ciò – in assenza di un incremento sostenuto dei consumi – ha contribuito all’eccesso di capacità produttiva che affligge molte aziende e interi settori. Si cercano ovunque sbocchi con l’export, cresciuto del 12,7 a ottobre e dell’8,5 il mese scorso. «Dobbiamo attivamente costruire ed esplorare nuovi mercati esteri e integrarci nel nuovo mercato globale con un atteggiamento aperto. Il fatto è che ora, con le nuove dispute commerciali con l’Occidente, dobbiamo sfruttare a pieno ritmo i nuovi mercati esteri», ha riassunto Li Xuenan, professore di finanza alla Cheung Kong Graduate School of Business di Pechino.

Al secondo posto lo sviluppo tecnologico, ovvero di quelle che sono state chiamate “nuove forze produttive di qualità”, per favorire lo sviluppo delle quali si punterà su un bilanciamento tra l’aumento della spesa da parte dei governi locali e l’esigenza di riduzione degli sprechi da parte di quello centrale.

Le paure delle pmi

Il settore privato, soprattutto le piccole e medie imprese, ha subito pesanti contraccolpi dalle chiusure anti-covid e dalle campagne contro la “espansione disordinata del capitale” del 2021-2022, in parte ideologiche, in parte arrivate in un momento che meno opportuno non si poteva. Per tentare di riguadagnarne la fiducia il governo promette un’ulteriore riforma delle aziende di stato e scommette su una Legge per la promozione dell’economia privata. Il giorno dell’apertura della Conferenza, sul Quotidiano del popolo il partito ha affidato allo zelante amministratore delegato di Tencent, Pony Ma (44 miliardi di dollari di patrimonio) il compito di rassicurare dalle pagine dell’organo ufficiale del comitato centrale che il clima è cambiato e le pmi saranno aiutate.

La Conferenza ha preannunciato una politica fiscale “più proattiva”: il governo centrale e quelli locali aumenteranno l’emissione di bond, indebitandosi maggiormente (il rapporto deficit Pil oscillerà tra il 3,5 e il 4 per cento) per sostenere lo sviluppo dei servizi sociali e l’aumento dei consumi, soprattutto attraverso l’estensione delle misure già varate per incoraggiare la rottamazione di beni durevoli. In arrivo anche sussidi diretti alle famiglie per sostenere la natalità. Misure che, complessivamente, comporteranno un’emissione di buoni governativi di 3.500 miliardi di yuan (457 miliardi di euro) in più rispetto al 2024.

La politica monetaria, per la quale la stessa Conferenza, dal 2011 al 2024, aveva sempre raccomandato “prudenza”, sarà ora invece “moderatamente espansiva o espansiva”. Dunque per il 2025 sono attese riduzioni del tasso di sconto e del coefficiente di riserva obbligatoria delle banche, per favorire iniezione di liquidità nel sistema economico.

Per quanto riguarda i consumi, sarà raddoppiata l’entità del piano di rottamazione e incentivi lanciato quest’anno, da 150 a 300 miliardi di yuan (39 miliardi di euro).

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