Scuole e uffici pubblici chiusi, autostrade e case al buio. E’ l’effetto della crisi energetica, che ha costretto il regime iraniano a imporre una sorta di “lockdown” parziale per evitare il collasso definitivo della rete elettrice e del gas. E fa impressione apprendere una simile notizia, visto che l’Iran è il secondo stato al mondo per riserve di gas accertate e quarto per quelle di petrolio. Invece, le stime parlano di un ammanco di 350 milioni di metri cubi di gas al giorno, di 20 Gigawatt di elettricità e di 15 milioni di litri di carburante.
La situazione è così disperata che il governo ha fatto appello alle famiglie per ridurre la temperatura nelle case di 2 gradi Celsius.
Crisi energetica in Iran, blackout e lockdown
La crisi energetica non sta soltanto provocando frequenti blackout ai danni dei privati, ma colpendo anche il cuore produttivo dell’economia. Le imprese, dalle grandi alle più piccole, non riescono più a disporre di energia a sufficienza per far funzionare gli impianti. E questa sarebbe l’ultima cosa che servirebbe alla già devastata economia iraniana.
Tracollo geopolitico in Medio Oriente
Qual è la causa di tutto ciò? L’Iran avrebbe incassato dalle vendite di petrolio 144 miliardi di dollari nei tre anni passati. Un immenso flusso di denaro, i cui benefici non si sono visti. Teheran da troppo tempo gestisce le risorse secondo un ordine di priorità che non coincide con le esigenze dei cittadini. Si calcola che almeno 25 miliardi siano finiti negli anni alla Siria di Bashir al-Assad, più che altro sotto forma di invio di petrolio. Il regime di Damasco è collassato un paio di settimane fa sotto i colpi dei miliziani islamisti. La geopolitica iraniana ha fatto acqua anche nel Libano, dove le forze militari israeliane hanno decapitato Hezbollah. La stessa Hamas nella Striscia di Gaza è stata perlopiù smantellata e i ribelli Houthi nello Yemen sono stati ridimensionati.
Queste formazioni sono state e continuano ad essere tutte foraggiate dalla Repubblica Islamica. La crisi energetica è la spia di un paradosso: c’è un regime degli ayatollah che pretende di condurre i giochi nel Medio Oriente, quando in casa non riesce neanche a garantire la luce nelle case per tutto il giorno. Il regime accusa le sanzioni occidentali dei suoi problemi. Queste gli vietano di esportare petrolio per ritorsione contro il programma nucleare portato avanti a scopi presunti militari. Ma è anche vero che negli ultimi anni Teheran si è fatta beffa dell’embargo, esportando greggio quasi unicamente alla Cina.
Alti sussidi e inquinamento
Una causa dei mali iraniani è l’alto livello dei sussidi, che tiene bassissimo il costo del carburante e delle bollette. Pensate che fare benzina qui è quasi gratis. Tuttavia, questo sistema iper-favorevole ai consumatori aumenta la domanda al di sopra dei livelli di offerta. Il resto lo fanno proprio le sanzioni, che tengono i capitali stranieri alla larga e impediscono alle società iraniane di investire per rinnovare e potenziare le infrastrutture. Il gas è ormai praticamente ovunque, avendo raggiunto più del 95% delle famiglie iraniane. Il problema è che serve estrarlo per immetterlo nelle condutture. Data l’impossibilità di soddisfare i consumi interni, si sta facendo ricorso al “mazut”, che è un carburante di bassa qualità e altamente inquinante.
Ed è così che dalla crisi energetica passiamo a quella dell’ambiente. L’Iran produce l’1,80% di tutte le emissioni inquinanti nel pianeta, sebbene la sua economia incida per meno dello 0,4% e la popolazione per poco più dell’1%. Il ministro della Salute, Mohammad Reza Zafarghandi, ha dichiarato che i costi dell’inquinamento ammontino ad almeno 12 miliardi all’anno (circa il 3% del Pil), mentre altri calcoli arrivano a stimare anche 20 miliardi.
Crisi energetica trasforma Iran in importatore di gas
La situazione è diventata così paradossale che l’Iran è ora costretto a rivolgersi al Turkmenistan per importare gas, nonostante sia uno dei principali produttori al mondo di questa materia prima.
Il governo punta a ridurre i sussidi per aumentare i prezzi di carburante ed energia e cercare così di abbassarne la domanda. Ma non è facile in un Paese con alti livelli di povertà e con un’inflazione già salita in ottobre al 34,5%. Si rischia la rivolta sociale. E la crisi energetica non è l’unico dei grandi problemi interni. Il cambio al mercato nero continua a collassare. Servono più di 770.000 rial per 1 dollaro contro i meno dei 500.000 di un anno fa. Un crollo del 35% che a sua volta si traduce in maggiori costi per le importazioni, ulteriore inflazione e segnala la crescente sfiducia dei cittadini verso la gestione economica del governo.
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