Bologna, 20 dicembre 2024 – “L’Emilia-Romagna non è una regione di poveri ma è un territorio dove si sta allargando sempre di più la fascia di famiglie con un reddito poco al di sopra della soglia della povertà”. Con questa frase, Massimo Bussandri, segretario regionale Cgil, riassume l’analisi dell’Osservatorio Ires Emilia-Romagna su benessere, redditi, spesa, diseguaglianze e retribuzioni dei lavoratori dipendenti dei settori privati non agricoli.
Povertà, pensioni, consumi, retribuzioni, manifattura, redditi. Questo il lungo elenco di categorie parte della ricerca di Ires. “L’emergenza ci è entrata in casa – dice Bussandri –: il 42% dei dipendenti non arriva a 20mila euro lordi l’anno, circa 1200 euro al mese; e il 38% di operaie e operai non arriva a 15mila euro lordi l’anno, dunque sotto la soglia psicologica dei mille euro netti al mese”.
Il timore è che la crisi della manifattura aggravi ulteriormente la situazione
L’occupazione, però, è aumentata. “Sì, ma solo nei settori più poveri di retribuzione, continuità e di diritti”, risponde il segretario regionale Cgil. Quindi, “la narrazione della regione del ‘va tutto bene’ va superata, non accontentiamoci di essere orbi, proviamo a vederci con tutti e due gli occhi – continua –. Il Patto per il lavoro e per il clima ha bisogno di una revisione perché dal 2020 è passato il mondo. Rischiamo che anche la nostra innovazione, diventi un fattore confinato a una nicchia di settori produttivi e non a servizio della collettività in tutto il suo insieme”.
Entrando nel dettaglio della ricerca, il 6,8% delle famiglie residenti sul territorio vive in condizioni di povertà relativa. Un dato in peggioramento rispetto agli anni precedenti (nel 2022 il 5,2%; e nel 2019 il 3,2%). “E un numero che è anche la prima volta superiore al dato medio del Nord-est (5,8%), resta, però, al di sotto della media nazionale (10,6%)”, conferma Giuliano Guietti, presidente Ires-Cgil Emilia-Romagna.
Da sinistra, Massimo Bussandri, segretario regionale Cgil, Giuliano Guietti presidente Ires-Cgil Emilia-Romagna e il professor Valerio Vanelli
Spostandoci sul ramo delle pensioni, in regione sono quasi due milioni gli euro erogati, circa 16mila euro l’importo medio e 40,4 pensioni ogni 100 persone. “Un numero preoccupante e in aumento”, sottolinea Guietti. Le pensioni di vecchiaia sono quasi il 62% del totale, in progressivo incremento (in Italia sono il 53,7%), così come le pensioni per superstiti (20% del totale sia in regione che a livello nazionale) e le pensioni assistenziali (12,6% in Emilia-Romagna e quasi il 20% in Italia).
Ires ha presentato anche precisato il numero dei consumi delle famiglie sull’anno 2022: “La spesa media mensile delle famiglie è pari a circa 2900 euro, in aumento di circa il 9% rispetto al 2021”, sottolinea. Colpisce l’occhio anche il dato della spesa più consistente sostenuta dai nuclei familiari: “Oltre il 40% della spesa annua familiare è investita nella casa”, annuncia Guietti.
Sebbene l’Emilia-Romagna sia seconda in Italia – dietro la Lombardia – per retribuzione media annua lorda (quasi 25,5mila euro lordi all’anno), i prezzi nel 2023 (+14%) sono cresciuti molto più delle retribuzioni (+6,9%) e “solo il 50,1% dei dipendenti lavora tutto l’anno a tempo pieno con 52 settimane di contributi – si legge nella nota Ires –. Mentre più basse sono le cifre di coloro che sono a tempo indeterminato ma con meno di 52 settimane annue di contribuzione (11%) e a tempo determinato o stagionali (26,1%), a fronte di circa un 30% part-time”.
Un altro elemento importante riguarda il gap salariale: “Le donne guadagnano in media il 68,4% in meno rispetto ai maschi. Gli extracomunitari nel 43,1% dei casi non raggiungono i 15mila euro lordi annui. Tutto questo mentre un dirigente guadagna 5,5 volte in più rispetto a un operaio”, dice Guietti.
E se è vero che “Emilia-Romagna terra di manifattura”, perché le retribuzioni più alte sono nel settore manifatturiero (quasi 35mila euro lordi annui), che da solo racchiude il 30% dei dipendenti, le paghe più basse, tuttavia, sono nei servizi di alloggio e ristorazione (10,4% dei dipendenti), quindi quelli del turismo, “non solo per la maggiore presenza di stagionali e la più bassa retribuzione giornaliera, anche per la maggiore presenza di lavoro grigio e nero”, chiude Ires.
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