In Pensare stanca (Feltrinelli 2024), David Bidussa racconta il passato, presente e futuro dell’intellettuale, esplorandone il ruolo dalla fine del XIX secolo fino ai nostri giorni. Il lavoro intellettuale, sostiene l’autore, non è “estetica del pensiero”, ma fatica del pensare. Bidussa parte dal contesto storico dell’immediato post-1989. Al tempo, nel pieno dell’euforia per il crollo del Muro di Berlino, Tzvetan Todorov rifletteva sulla necessità di un nuovo impegno pubblico degli intellettuali. Tuttavia, negli ultimi decenni, la parola “intellettuale” si è associata al concetto di “guastafeste”. Una figura che deve pensarsi come anello di una lunga storia di generazioni e lasciare un’eredità significativa ai posteri. Il libro si sviluppa attraverso una ricca galleria di pensatori. Si parte da riferimenti fondamentali come Immanuel Kant, John Rawls, Enzo Traverso, Michel Foucault ed Ernest Gellner, tra gli altri.
Centrale è la riflessione su Il tradimento dei chierici di Julien Benda. Il libro era un tentativo di erigere una barriera contro la propaganda antintellettualistica delle correnti nazionaliste negli anni Venti. Poi David Bidussa si avventura in una serie di ritratti intellettuali che hanno fatto riferimento al ruolo dell’intellettuale nel secolo scorso. Inizia dal trittico degli intellettuali critici: Walter Benjamin, che ha decostruito il rapporto tra storia e narrazione. Poi Simone Weil, che mostrava intransigenza nel dire la verità e il suo impegno a smontare le ideologie politiche. E Victor Serge, elogiandone la sua denuncia del totalitarismo sovietico, articolata su tre punti: la falsificazione della storia, la difesa dei diritti individuali e la trasformazione del regime verso il totalitarismo. Bidussa si sofferma anche su figure chiave come Gaetano Salvemini e la sua difesa di Serge, imprigionato in URSS per il suo dissenso.
Un episodio che si intreccia con la polemica contro André Gide, che invece aveva elogiato la società sovietica. L’eredità di questi tre pensatori fu poi raccolta da Hannah Arendt (presentata attraverso la sua riflessione sull’esercizio della libertà e la sua critica al male radicale reso possibile dai totalitarismi) e Albert Camus (che emerge attraverso la sua riflessione sulla lotta e l’impegno). Un posto speciale è riservato a Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte, che raccolgono la sfida posta da Serge. In particolare, la riflessione del secondo sulla cultura come “terreno della disputa intorno alla verità” si è centrale per comprendere il ruolo dell’intellettuale. Poi Furio Jesi, figura di collegamento tra gli “infedeli” e i “radicali”, fino ad arrivare a figure più contemporanee. Edward Said è presentato attraverso la sua concezione dell’umanismo come resistenza e la sua visione dell’intellettuale come provocatore.
Susan Sontag emerge attraverso la sua riflessione sull’arte e la memoria, significativa nella sua esperienza a Sarajevo e la sua elaborazione sul ruolo della fotografia come testimonianza. Tony Judt è analizzato per la sua ricerca di un’agenda morale in un’epoca di crescente astensionismo politico, con particolare attenzione alla sua riflessione sulla tradizione economica liberale e l’astensionismo politico. Di Zygmunt Bauman si fa riferimento alla sua analisi della memoria collettiva e del potere. Quindi al suo fondamentale Modernità e Olocausto e alle riflessioni sul concetto di sicurezza e comunità. Le riflessioni di Todorov sullo smarrimento delle identità e sulla memoria storica completano il quadro. Offrono una prospettiva sulla condizione del solitario nella società odierna e sul rischio dell’egoismo come destino dell’individualità.
L’autore sottolinea come, contrariamente alle aspettative dell’era post-Muro di Berlino, non siamo entrati in un’epoca di semplice progresso lineare. Il volume di David Bidussa non è solo un’analisi storica esaustiva del ruolo dell’intellettuale, ma anche un manifesto per il futuro del pensiero critico. Ci ricorda che il vero pensiero richiede fatica e pazienza, ma che questo sforzo è necessario per mantenere viva la funzione critica dell’intellettuale nella società oggi. L’ha detto bene Salvatore Veca: «Ragionare non è twittare compulsivamente. Ragionare con altre e con altri vuol dire semplicemente cercare di ricucire e ridisegnare con lo strumento delle ragioni, degli argomenti e del pensiero critico una visione dei fini che valgono la pena di essere perseguiti, se non vogliamo rinunciare alla voglia, alla passione e al desiderio di disegnare, e non di subire, un futuro più degno di lode».
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