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Tagli nella rete vendita: nel mirino circa 90 negozi che afferiscono a imprenditori terzi. Il nodo cause e crediti non pagati
Benetton prenda in carico i lavoratori dei negozi in affitto di ramo d’azienda che saranno chiusi sul territorio nazionale, «al fine di garantire loro il reddito e gestire questa fase di transizione». La richiesta, secondo una nota emessa l’altro giovedì, è stata avanzata dai sindacati di categoria di Cgil, Cisl e Uil nel corso di un vertice giovedì a Roma con i delegati della casa di Ponzano Veneto, alla luce delle iniziative assunte nelle ultime settimane.
Ossia, di procedere con la chiusura dei negozi, accompagnata anche da decreti ingiuntivi verso i gestori di punti vendita che da molti anni, anche cinque o più, non corrispondono il dovuto alla casa madre per la merce consegnata. Secondo fonti vicine all’azienda si tratta di circa 80-90 negozi a insegna Benetton che afferiscono a cinque grossi imprenditori terzi, per il 63% situati tra Calabria, Puglia e Sicilia, debitori verso il gruppo di circa 30 milioni.
Chiusura inevitabile
Le prime iniziative di recupero avrebbero portato alla riscossione di una cifra vicina ai 3 milioni, ma la componente più numerosa dei gestori pare aver preferito avviare ricorsi alla magistratura in opposizione alle pretese del fornitore. Comunque si concluderanno le vertenze, rimane che le nuove collezioni non sono più state consegnate ed è stata ritirato il marchio. Dunque la chiusura, se non già avvenuta, è inevitabile.
Il motivo per cui si è arrivati fin qui è chiarito da Daniele Meniconi, della Fisascat Cisl nazionale, presente al vertice: «Fino a poco fa – è la premessa – l’orientamento della Benetton e del suo presidente, Luciano Benetton, era, piuttosto che perdere l’insegna in località presidiate da sempre, di accumulare crediti».
Risultati positivi per i negozi a gestione diretta
Con l’arrivo del nuovo amministratore delegato, Claudio Sforza, e il mandato attribuitogli di risanare l’azienda, però, la situazione è cambiata. E il piano di razionalizzazione dei negozi indiretti, specifica la nota dei sindacati, è «legato alla necessità di ridurre la massa creditizia». «A nulla sono servite anche alcune proposte avanzate di chiudere le pendenze versando una componente ridotta del dovuto, scendendo fino al 20%. Perciò – aggiunge Meniconi – la via giudiziaria è diventata inevitabile».
L’aspetto in controtendenza è che i 135 negozi a gestione diretta presenti quasi ovunque in Italia, esclusi Puglia, Molise e Calabria – mentre, secondo i dati comunicati nell’incontro, altri 190 negozi sono in franchising e circa 200 sono indiretti, di cui 80-90 in affitto di ramo d’azienda – pare stiano restituendo le soddisfazioni di ricavi e redditività attese dal nuovo piano industriale e nessuno di questi punti vendita rientrerà tra quelli da chiudere. Per questi, secondo i sindacati, «l’azienda ha dichiarato di non voler disinvestire ma di tenere monitorata la redditività».
Il destino dei lavoratori
In Italia, la preoccupazione dei sindacati riguarda il destino dei dipendenti degli store in chiusura. Diversa la situazione tra quelli dei negozi in franchising e quelli gestiti in affitto di ramo d’azienda con Benetton sulla possibilità di passare alle dipendenze della casa-madre e, in una fase successiva, in caso di mancato riassorbimento altrove, di ottenere l’accesso agli ammortizzatori sociali su richiesta del datore di lavoro. Non c’è un canale generale, riferiscono sempre i sindacati, e sarà necessario procedere caso per caso, cercando di evitare il più possibile il ricorso alla Naspi, che significa licenziamento.
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