Viaggio alla scoperta del distretto comasco della seta

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Articolo tratto dal numero di dicembre 2024 di Forbes Italia. Abbonati!

Da secoli Como è sinonimo di seta. Da quando i Visconti, ma soprattutto gli Sforza – in testa Ludovico il Moro -,  fecero del Ducato il caput mundi nella produzione di broccati e sete pregiate. A suon di editti, tanta Lombardia, già vocata al tessile, venne convertita in filari di gelso per alimentare i bachi da seta. A questa lavorazione si affiancò quella del cotone giunto copioso dalle Americhe, in particolare durante la dominazione degli spagnoli, conquistadores del Nuovo Mondo.

Fa fede il romanzo più lombardo che ci sia, I promessi sposi, che ha per protagonisti due filatori di seta; e un po’ tra le righe, altrove chiaramente, si allude alla crisi del tessile nella Lombardia ispanica del Seicento, mentre di là dall’Adda, con i veneziani, le cose andavano decisamente meglio, tanto che a Bergamo i lavoratori della seta erano accolti “a braccia aperte”. Di lì a un secolo avvenne una rimonta, con climax nelle terre di Como: per il 93% dedite alla bachicoltura, così come le manifatture di vecchia data venivano via via sostituite da attività organizzate con criteri imprenditoriali e standard da prima rivoluzione industriale.

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I numeri

Oggi a Como fa capo l’80% della produzione europea della seta, biomateriale prodotto da insetti e ragni, dunque altamente sostenibile. Non c’è azienda, fra le 1.046 del distretto tessile, di cui 700 società di capitali, che si occupi in modo esclusivo di seta: non sarebbe praticabile. Ma una cosa è certa: “La seta circola nel sangue delle nostre aziende”, spiega Guido Tettamanti, segretario del gruppo filiera tessile della locale Confindustria. Imprese che occupano 14mila addetti, generano un fatturato di 2,1 miliardi di euro, il 20% del quale scaturisce proprio da questa fibra. Nel Comasco è presente l’intera filiera, fermo restando che è dagli anni Settanta, e più in generale da quando le filande hanno chiuso i battenti, che il filo di seta viene importato dalla Cina. Le ultime generazioni ignorano termini come bigàtt, cavalèe o gianin de seda, che stanno per baco. Stesso dicasi per bigatè, colui che riforniva gli allevatori delle larve appena nate.

I valori del made in Como

Come ci racconta Laura Sofia Clerici, presidente dell’Ufficio italiano seta e al timone della Teseo (con lei alla terza generazione), “quando sei in Cina, al cospetto di quelle immense distese di bachicoltura, capisci una volta per tutte che in Italia un’attività del genere è impensabile, per ragioni di spazio, ma anche per i costi della manodopera. Perché queste attività sono poco industrializzabili, chiedono tanta manualità. Pure in Cina, comunque, la bachicoltura sta migrando nelle aree dove il costo del lavoro è più basso”. Dalla Cina si importa il filato, così come “capita che le fasi di filatura possano essere svolte in Cina o nei paesi dell’Europa orientale, Romania in testa, ma tessitura, tintura, finissaggi e stampa sono appannaggio del distretto”.

Il made in Como è assicurato dall’unica filiera serica nell’emisfero occidentale, dove sono presenti tutte le lavorazioni del ciclo della trasformazione della seta. “Nel nostro distretto”, continua Tettamanti, “non manca un solo anello della filiera, che si tratti di produzione di tessuto tinto in filo, pezza o stampato. A  dire il vero, nell’ambito serico la nostra prerogativa è proprio lo stampato, esaltato dalla seta poiché più di tutte le altre fibre valorizza il colore”.

Qualità e sostenibilità

Le dimensioni delle aziende seriche, di cui solo quattro superano la soglia delle pmi, rischiano di farne vasi di terracotta costretti a viaggiare in compagnia dei vasi di ferro di Cina e Francia. Come tener testa a tali giganti? “Puntando sulla qualità assoluta, siamo famosi per questo nel mondo”, dice Clerici.  “Consapevoli che operiamo per una nicchia altamente specializzata, dobbiamo puntare su tracciablità e sostenibilità, e comunicare tutto ciò, perché non basta fare. Esportiamo in ogni angolo del mondo, ma i nostri due mercati di riferimento sono Italia e Francia, culla dell’alta moda e dunque bisognosi di una qualità superiore”. In sintesi: un prodotto griffato in seta è fatto, nella maggior parte dei casi, con tessuto comasco. E non è infrequente che gli stilisti continuino ad avere un rapporto diretto con i fornitori di vecchia data: assieme hanno contribuito all’affermazione della moda italiana.  

I maestri della seta

Cosetex 

Como contagia anche le aree limitrofe. E la lontananza dall’epicentro aguzza l’ingegno. A Medolago, in provincia di Bergamo, la famiglia comasca Mandelli è titolare di una delle aziende della seta più longeve d’Italia. Centoventi anni fa Silvio Mandelli iniziò a commerciare materiali in seta discontinua. Nasceva così Cosetex, oggi alla terza generazione, e con un tratto distintivo: acquista, lavora e fornisce la fibra in seta per chi produce filati anche in mista con altre fibre nobili, dalla lana a cashmere, alpaca, canapa, vicuna. Cosetex ha inoltre brevettato T.Silk, la prima imbottitura 100% in seta per abbigliamento e casa, con una linea di prodotti per il sistema letto seta (piumoni, topper, guanciali, federe, lenzuola). 

Saati

È la gigantessa del distretto, con il più alto fatturato, nonché unica a concentrarsi in modo esclusivo sul tessile tecnico anziché sull’abbigliamento. Crea tessuti tecnici di precisione partendo da fibre sintetiche e prodotti chimici. Si va dai tessuti per la microfiltrazione a uso sanitario a elettronica di consumo, serigrafia e dispositivi per la sicurezza.

Mantero

È stata fondata nel 1902 da Riccardo Mantero, che da Novi Ligure si portava a Como per comprare e rivendere tessuti. Partenza cauta, con appartamento al primo piano e sotto la bottega, e nel 1940 lancio di una tessitura industriale che – si narra – lavorava anche la seta per i paracadute. Ora Mantero tesse, tinge, stampa e confeziona tessuti, foulard, cravatte e altri accessori tessili in una struttura dove convivono  diverse arti e professioni: la disegnatura, la coloritura, la stampa tradizionale a quadro, la stampa digitale, la tessitura, il finissaggio, l’orlatura e il controllo qualità.

Ratti

Fondata nel 1945, è oggi tra le più pregiate aziende nella produzione di tessuti stampati per abbigliamento, uniti, tinti in filo e jacquard. Copre inoltre il segmento della cravatteria e della camiceria, il mare e l’arredamento. Gestisce e controlla l’intero ciclo produttivo: dall’idea creativa alla progettazione del tessuto, fino alla fase di nobilitazione. Dal 1989 è quotata alla Borsa di Milano e dal 2010 è nel gruppo Marzotto.

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 Achille Pinto

Fondata nel 1933, Achille Pinto è una spa con quartier generale a Casnate con Bernate (Co) e altre otto sedi tra amministrative, operative e legali. Stamperia e magazzino sono a Casnate con Bernate, la tessitura a Colverde, mentre a Villaguardia c’è una sede di confezionamento. Nel Biellese vi sono un’orditura e una tessitura, più il magazzino dei filati cashmere. Pierre-Louis Mascia, brand del quale è socio di maggioranza, è presente in 400 multibrand e due monomarca, a Milano e Portofino, mentre i brand Franco Ferrari, al 100% di Achille Pinto, e Alonpi sono presenti in 150 multibrand ciascuno. 

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