A luglio scorso, papa Francesco ha eretto la nuova diocesi di Bentiu scorporando questo territorio dalla diocesi di Malakal. La mia nomina come primo vescovo di questa diocesi è stata un dono e una sorpresa inaspettata. Nel mese di agosto sono andato a prendere possesso di Bentiu e celebrare con la gente. Il territorio è molto vasto. Copre una superficie di quasi 38 mila chilometri quadrati, circa il doppio del Veneto. La popolazione conta circa 1 milione 130 mila persone appartenenti alle due etnie – Dinka e Nuer – le cui relazioni non sono facili. I Cattolici sono 450 mila, mentre i protestanti circa 350 mila. Il resto della popolazione segue la propria religione tradizionale. C’è anche una piccola ma significativa presenza di mussulmani. Le parrocchie sono sette, tutte molto estese nel territorio e con un numero molto grande di cappelle. Dopo l’ordinazione sacerdotale di due giovani preti il 10 novembre scorso, i preti diocesani sono ora nove. In diocesi abbiamo una comunità di missionari comboniani che segue la parrocchia di Leer, e tre frati cappuccini che seguono la parrocchia di Rubkona.
Questa parte di popolazione è certamente tra le più emarginate e povere del paese. Il territorio è molto isolato e difficile da raggiungere. Non ci sono strade praticabili e per molti mesi dell’anno ci si arriva solo in aereo. La città di Bentiu è stata devastata dal conflitto (2013-19). Rubkona ospita il più grande campo sfollati del paese: ben 130 mila persone che vivono totalmente dipendenti dall’aiuto umanitario. Questo campo era nato a causa della violenza contro i civili perpetrata durante il conflitto. Dopo l’accordo di pace e il governo di unità nazionale del 2019, la gente è rimasta nel campo sia a causa della povertà che dell’inondazione. Il Nilo ha infatti esondato coprendo più della metà del territorio sommergendo villaggi e terreni coltivabili. L’UNHCR riporta che il 90% della popolazione abbia abbandonato i propri villaggi per trovare rifugio in terreni più elevati ed asciutti. In diocesi c’è anche la presenza di circa 70 mila rifugiati sudanesi soprattutto di etnia Nuba nei campi di Yida e Jamjang. C’è tanta miseria e la popolazione vive in una condizione di vulnerabilità molto grave.
Rubkona ospita il più grande campo sfollati del paese: ben 130 mila persone che vivono totalmente dipendenti dall’aiuto umanitario.
A questo si aggiunge la crisi ecologica che è sempre legata a una crisi umana. Infatti lo sviluppo economico slegato dall’etica non riduce le disuguaglianze, ma le aumenta insieme a evidenti ingiustizie. Infatti il petrolio che viene qui estratto non ha portato benessere alla popolazione. È stato fonte di arricchimento personale per la classe dirigente, ha alimentato la violenza nel paese e nelle aree dove c’è, e continua a fungere da motore principale della competizione tra le élite all’interno del sistema politico del paese. L’estrazione del petrolio ha avuto un impatto negativo sull’ambiente a causa delle perdite di sostanze tossiche che oggi, con l’inondazione, inquinano le fonti d’acqua alla quale la popolazione attinge non senza effetti negativi sulla salute. È uno sviluppo che ha dato priorità al profitto di alcuni gruppi a scapito del bene comune: la protezione dei più deboli, la promozione della pace e una vita più dignitosa per tutti.
C’è tanta miseria e la popolazione vive in una condizione di vulnerabilità molto grave. A questo si aggiunge la crisi ecologica che è sempre legata a una crisi umana. Infatti lo sviluppo economico slegato dall’etica non riduce le disuguaglianze, ma le aumenta insieme a evidenti ingiustizie.
Si avvicina il Natale. Mi sembra che la ricorrenza e il senso di questa celebrazione porti con sé un messaggio profetico molto forte per l’uomo di oggi, come anche per la Chiesa la cui missione deve essere incarnata nei problemi reali, quelli che tolgono vita. I padri della Chiesa ci ricordano che nell’incarnazione “Dio divenne uomo affinché l’uomo diventi Dio”. L’uomo, per quanto ci provi, che sia attraverso il potere, o la scienza o la tecnologia, non può diventare Dio. Questi sforzi non lo portano ad altro che alienarsi e a perdere la propria umanità. Il Dio fatto uomo ci divinizza come uomini nella comunione con Lui. Quindi non ci nega di essere persone umane, ma ci guarisce dal modo dominante del nostro essere uomini: un modo che sta producendo orrori come la guerra in Medio Oriente e tanti altri pezzetti di guerre, di miserie, di ingiustizie che compongono un mondo dal volto sfigurato e disumano.
Gesù bambino ci fa vedere il vero volto di chi siamo: pellegrini che cercano la somiglianza con Dio, la comunione con Lui e i fratelli e sorelle. Gesù chiede tutto e non solo una parte, tutto ciò che c’è bisogno perché il Suo sogno prenda forma. Soltanto chi non pensa a sé vive responsabilmente, ossia vive realmente. Solamente la Chiesa che non esiste per la propria autocelebrazione o preservazione ma per il popolo povero di Dio, è veramente Chiesa. Questo è il cammino inaugurato dal Natale che ci apre a percorsi e prospettive nuove.
Aggiornato il 20/12/24 alle ore 09:06
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