di: Rita Ricciardi | 20 Dicembre 2024
L’Africa, continente vasto e complesso, è con crescente frequenza protagonista di dibattiti internazionali, eppure la narrazione che ne emerge è spesso monodimensionale. Il racconto si focalizza su aspetti politici, conflitti e instabilità, ma non bisogna più di considerare questi Paesi come destinazioni per valigette diplomatiche o conferenze politiche: sono mercati emergenti dove la componente commerciale ed economica deve essere il fulcro della nostra strategia.
Se in passato i Paesi africani potevano essere percepiti come “destinazioni passive” per investimenti o aiuti, oggi la situazione è radicalmente diversa. Gli africani viaggiano di più, sono più connessi e soprattutto sanno cosa vogliono. I governi e le imprese locali hanno ben chiari i propri obiettivi e le proprie necessità; non cercano beneficenza, ma partner strategici in grado di aiutarli a crescere, condividendo know-how, tecnologie e risorse, più precisamente risorse finanziarie. L’accesso alla finanza, infatti, continua a essere una grossa barriera per lo sviluppo, basti vedere l’ultima mappa dei rischi pubblicata dall’Oecd per capire l’importanza di avviare una finanza sostenibile per le aziende che senza non riescono “a fare il salto”. In questo contesto, l’Italia deve avviare un approccio pragmatico, mirato ai reali bisogni e potenzialità dei mercati africani. L’Italia non può permettersi di ignorare questo continente, deve trattarlo con intelligenza, puntando su studi dettagliati per guidare gli investimenti in maniera efficace. Non stiamo parlando dei mercati tradizionalmente frequentati dagli imprenditori italiani. Le opportunità più interessanti spesso si trovano in quei Paesi che molti considerano “non prioritari” ma che, a ben vedere, offrono margini di crescita enormi, se affrontati nel modo giusto. L’Africa è giovane, dinamica, e i suoi mercati sono in espansione, soprattutto in settori che non riguardano solo il turismo o il caffè. Tecnologia e innovazione sono settori lontani dalla normale narrativa sul continente, ma possono riservare sorprese e un impatto molto significativi a lungo termine.
Esempi concreti di questo discorso arrivano dall’Africa orientale: Kenya, Uganda e Tanzania hanno traiettorie di crescita differenti ma ugualmente interessanti. Se confrontiamo il loro tessuto imprenditoriale, emerge chiaramente che il Kenya ha imprenditori già affermati e una presenza più consistente di capitali esteri. E, contrariamente a Tanzania e Uganda, si trova nella lista dei Paesi prioritari. Tuttavia, anche Uganda e Tanzania possono rivelare lati decisamente attraenti. Perché? Perché queste sono ancora in fase di crescita e hanno bisogno di know-how e risorse per un salto di qualità. Mi spiego meglio. Il Kenya è oggetto di maggiore attenzione politica ma ha un ecosistema imprenditoriale già strutturato e inserito in canali internazionali, per cui un’impresa faticherebbe a farsi largo proprio perché si tratta di un mercato più maturo. Quindi dovrebbero essere Tanzania e Uganda ad avere priorità, per le loro possibilità di crescita: in Uganda e Tanzania, esiste un tessuto imprenditoriale che sta prendendo forma, che ha bisogno di essere accompagnato e che presenta maggiori spazi di collaborazione.
Ora, è esattamente in questa fase che gli investitori italiani dovrebbero posizionarsi. Arrivare dopo sarebbe inutile, perché le opportunità più grandi sono già sfruttate. E qui entra in gioco il sistema Paese: le aziende italiane, che per dimensioni e risorse sono spesso più piccole rispetto ai competitor internazionali, necessitano di un forte sostegno da parte delle istituzioni. È fondamentale creare le condizioni giuste per favorire la loro crescita in questi Paesi, dove esistono ancora margini per chi sa come affrontare la crescita economica con competenza e strategia.
Oltre a essere mercati in espansione, Uganda e Tanzania mostrano un altro fattore di richiamo, cioè il fatto che il rischio politico ed economico è non di rado minore rispetto a Paesi che, paradossalmente, sono considerati prioritari. Lo dimostra anche il recente incontro di esperti Oecd a Parigi, dove sono state rivalutate le categorie di rischio dei vari Paesi. Le nazioni sono state classificate da 0 (rischio più basso) a 7 (rischio più alto), e sia Uganda che Tanzania hanno mostrato livelli di rischio inferiori rispetto a molti altri Paesi africani ritenuti strategici.
Certo, non è un contesto privo di sfide, ma ne vale la pena.
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