“Non ci serve un cessate il fuoco, ma una pace a lungo termine“. Questa frase, pronunciata in maniera quasi identica da Vladimir Putin e Volodymyr Zelensky, di primo acchito smuove l’entusiasmo di chi, da quasi tre anni, spera che le armi tacciano definitivamente in Ucraina. Poi però c’è la realtà: sono mesi ormai che i due leader si riempiono la bocca con aperture al cessate il fuoco, disponibilità al dialogo, volontà di mettere fine al conflitto “entro il 2025”, ma i fatti dicono altro. Dicono che il presidente russo ha aumentato la pressione militare nel Donbass, ottenendo conquiste record, ha bombardato le infrastrutture energetiche ucraine nel tentativo di ridurre la popolazione al freddo e al buio in vista del rigido inverno e adesso dice di non voler trattare con un presidente “illegittimo”. Dall’altra parte, Zelensky per primo si è sempre opposto a un dialogo con l’omologo russo, vietando ogni trattativa per legge, ha alzato la posta invadendo a sua volta la regione del Kursk, territorio della Federazione, e anche al termine dell’ultimo Consiglio europeo dell’anno, dove è andato a ribadire che il sostegno occidentale è fondamentale per la sopravvivenza del suo Paese, ha definito Putin “il vero nazista di oggi. Putin è pericoloso per tutti, penso che sia pazzo e credo che anche lui sappia di essere pazzo e ami uccidere”.
Tutti, insomma, predicano la pace ma praticano l’arte della guerra. E una vera disponibilità alla trattativa non sembra esserci. Putin pretende di dialogare con Kiev senza mettere sul tavolo alcuna concessione territoriale o garanzie di sicurezza per l’Ucraina, cercando di far valere il vantaggio acquisito sul campo di battaglia e l’attuale superiorità numerica rispetto all’avversario. Mentre Zelensky ha da pochi giorni iniziato a parlare genericamente di pace da raggiungere “nell’arco del 2025”, pur continuando a ripetere che una trattativa potrà arrivare solo quando Kiev avrà riconquistato i territori persi. Due giorni fa, in un’intervista a Le Parisien, ha detto che in queste condizioni non è possibile rimettere riannettere tutto il Donbass e la Crimea e per questo è necessario che Unione europea e Stati Uniti “rimangano uniti” in nome della causa ucraina.
Gli Stati Uniti, appunto. In questa situazione di impasse diplomatica, a cambiare gli equilibri può essere solo il nuovo inquilino della Casa Bianca. Il 20 gennaio, Donald Trump inizierà il suo secondo mandato da presidente ed è ormai cosa nota che voglia operare in discontinuità col suo predecessore Joe Biden. Sarà per questo che, ben consapevoli dell’importanza del riposizionamento americano, tutti gli altri attori, quasi in coro, hanno inviato il proprio messaggio al tycoon nella speranza di portarlo un po’ più dalla propria parte.
Lo ha fatto, a modo suo, Vladimir Putin che ha detto di essere pronto a incontrarlo dato che “sono quattro anni che non ci vediamo”, dimostrando così che i rapporti sono ben meno tesi rispetto a quelli con Biden. Lo ha fatto l’Unione europea che, con l’Alto rappresentante per la Politica Estera, Kaja Kallas ha detto che si impegnerà a “lavorare con gli alleati statunitensi per convincerli che aiutare l’Ucraina non è carità, ma un investimento nella sicurezza globale”. E ha poi invitato il prossimo presidente a non creare occasioni di scontro con gli Stati membri sulla questione dei dazi: “Non ci sono vincitori nelle guerre commerciali, questo è molto chiaro – ha dichiarato a margine dell’ultimo Consiglio europeo dell’anno – Se iniziamo una guerra commerciale con gli Stati Uniti penso che nemmeno gli americani ne trarrebbero beneficio. Con una guerra commerciale tra di noi, chi ride di gusto è la Cina”. Infine, lo ha fatto anche Volodymyr Zelensky che non ha girato troppo intorno alla questione, non ha lanciato messaggi velati: “Voglio condividere” con Trump “più dettagli. Conto di avere tempo per parlare, pensare, ascoltare la sua visione e mostrargli la nostra. Spero che mi capirà, perché penso che siamo solo persone e abbiamo le stesse emozioni. Trump è una persona forte, è importante che sia dalla nostra parte” e “ci aiuti a fermare la guerra”.
Zelensky sa bene che l’appoggio della nuova amministrazione non sarà più così forte e incondizionato come è stato fino a oggi. Ma il suo è un po’ il timore che sembrano avere tutti gli attori in gioco. In una situazione diplomatica così bloccata, sanno benissimo che riuscire portare dalla propria parte gli Stati Uniti potrebbe essere determinante. Donald Trump, dopo aver dichiarato che “non ci saranno più assegni in bianco per l’Ucraina”, sa bene di poter spostare questi equilibri. Sta a lui decidere quale sia il miglior modo per mettere fine alla guerra.
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