Il giorno del giudizio. Salvini in Sicilia, solo davanti al suo giudice

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Il countdown l’ha fatto lui stesso su Instagram. E il giorno della sentenza sta per arrivare. Matteo Salvini domani, 20 dicembre, sarà a Palermo per quello che, quasi certamente, sarà l’ultimo atto del processo Open Arms. Almeno per quanto riguarda il primo grado di giudizio. Salvini vive queste ultime prima della decisione del giudice sulle accuse di sequestro di persona e rifiuto d’atti d’ufficio con un occhio al tribunale e un occhio alla politica. Quella interna e quella internazionale.

Sono giorni febbrili per la Lega e momenti complessi nella maggioranza. Sul primo fronte, il congresso della Lega lombarda ha reso ormai innegabili le tensioni dei big del Nord nei confronti del segretario. Il ritiro dalla corsa del fedelissimo Luca Toccalini in favore di Massimiliano Romeo – eletto per acclamazione – è stato un segnale fortissimo di stanchezza. E questo clima si riverbera anche in vista della sentenza di domani. L’augurio che Salvini sia assolto è naturalmente condiviso all’interno del partito. Anche perché il processo riguarda l’immigrazione – Salvini è accusato di aver impedito per 19 giorni lo sbarco della nave dell’Ong Open Arms, con a bordo 147 migranti, nell’agosto del 2019, quando era ministro dell’Interno – che è un tema di bandiera per la Lega. Il partito ha annunciato dei gazebo nel weekend, in caso di condanna. Se, però, si esclude suo vice Andrea Crippa nessuno dei big leghisti – al di là delle dichiarazioni di circostanza – si sta esponendo in maniera particolare per difendere il segretario. La mobilitazione  senza quartiere in cui Salvini sperava non sembra esserci.

Qualcosa si muove a livello locale. La Lega Sicilia ha annunciato per oggi un direttivo straordinario, alla presenza del sottosegretario Claudio Durigon, fedelissimo di Salvini: “Domani decideranno se difendere il proprio Paese è un reato o un dovere. Noi sappiamo qual è la cosa giusta e da che parte stare: da quella della sicurezza dei nostri confini e, quindi, dalla parte di Salvini senza se e senza ma”, ha dichiarato Nino Germanà, commissario della Lega in Sicilia. 

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Nelle scorse ore Salvini è stato a a Bruxelles, dove ha incontrato la sua famiglia europea: i Patroti. In quella sede, racconta lo staff della Lega, i vari big – Viktor Orbán compreso – gli hanno mostrato la solidarietà. Con un calore, verrebbe da aggiungere, maggiore rispetto a quello che si respira in Italia. Testimoniato anche dalle foto con le t-shirt con la scritta, in italiano, “colpevole di aver difeso l’Italia”. Cita Ezra Pound, Salvini, quando dice si dice “fiducioso e determinato”: “Se un uomo – questa la citazione – non è disposto a correre un rischio per le sue idee, o non valgono niente le sue idee o non vale niente lui”. Il refrain contro i giudici è stato ripetuto anche con la stampa internazionale: il quotidiano olandese De Telegraaf ha pubblicato una sua intervista. Il titolo, eloquente, è: “I giudici dovrebbero essere giudici e non fare politica”. E immancabile è arrivato lo scambio di carinerie con Elon Musk: “È assurdo che Salvini venga processato per aver difeso l’Italia!”, ha twittato il tycoon. Pronta la risposta del ministro: “Che io venga condannato o assolto, la nostra lotta per la libertà e la sicurezza in Italia e in Europa continuerà”.

Mentre sui social posta ogni giorno reel in cui mostra i risultati ottenuti con i decreti sicurezza del governo Conte I, da lui vergati, Salvini di una cosa è certo: anche se dovesse essere condannato, non si dimetterà. Lo ribadisce, subito dopo aver detto di sentirsi come “in una notte prima degli esami”, anche in serata, durante una diretta di Tik Tok: “Tolgo questa gioia a qualcuno che vive male, ma non c’è la galera domani. Se mi assolvono domani, avranno riconosciuto che ho fatto il mio dovere, se mi condannano farò ricorso”. Nessuna legge, del resto, lo obbliga alle dimissioni: la Severino, che impone la decadenza ai politici condannati per alcuni reati, per i parlamentari scatta solo dopo la sentenza definitiva. Il caso più eclatante è stato quello che, nel 201, ha riguardato Silvio Berlusconi. Inoltre, se la condanno dovesse essere particolarmente lieve, l’obbligo di dire addio a ogni carica politica non scatterebbe neanche. A ciò si aggiunge il fatto che per uno dei due reati alleati, il rifiuto d’atti d’ufficio, la prescrizione.

C’è, però, un tema di opportunità politica. Che, sempre in caso di condanna, qualcuno nella maggioranza potrebbe tirare fuori. E nella Lega c’è chi teme che ciò accadra. La premier, Giorgia Meloni, ha dato la sua solidarietà al suo vice, ma non ha mai dato specifiche sul fatto che in caso di condanna, magari anche pesante – il pm ha chiesto per il ministro 6 anni – Salvini resti al suo posto. In altri casi, come i due processi alla ministra Daniela Santanché, aveva dato come paletto per far scattare le dimissioni il rinvio a giudizio. Nel caso di Salvini le tempistiche sono state diverse e quindi il caso è stato trattato in maniera diversa. Tutto porta a pensare che al titolare del Mit sarà concesso di restare al suo posto, ma i più diffidenti all’interno della Lega continuano a temere che possa esserci qualche intoppo. 

Stamattina, intanto, è arrivata a Salvini anche la solidarietà di Antonio Tajani: “Mi auguro che ci sia un giudice in Sicilia che applichi la legge nel giusto modo e sono convinto che Salvini debba essere assolto”, ha dichiarato. “Mi pare – ha aggiunto – veramente singolare che un ministro che fa il proprio dovere venga incriminato. Non bisogna mai utilizzare la giustizia a fini politici: questo mi pare un caso che crea certamente molti sospetti a questo proposito. Se fossi stato un magistrato avrei agito diversamente”. Per il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro che la requisitoria dei pm gli “è sembrata un proclama da centro sociale più che una requisitoria giuridica”. Per l’avvocata di Salvini, la senatrice Giulia Bongiorno, “il fatto non sussiste” e quindi il suo assistito deve essere assolto. La linea difensiva è stata, inoltre, quella di sostenere, tra l’altro, che Salvini non ha agito da solo e che il resto del governo sapeva. Sul banco degli imputati, ad attendere sentenza, non ci sarà, però, Giuseppe Conte, né Danilo Toninelli, né Elisabetta Trenta. Ci sarà Salvini. Il solo per cui il Parlamento ha autorizzato il processo. Complice anche il fatto che nel mentre era cambiato il governo. Un elemento, quest’ultimo, che probabilmente non avrà alcuna rilevanza giuridica. Ma che politicamente conta. 



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