Il 10% dei lavoratori appartiene a uno degli ordini professionali

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Sono 2,4 milioni (5,8 considerando le professioni regolate), incassano il 45% in più

La stagione delle grandi liberalizzazioni sembra essere finita, per ora, e forse è anche per questo che si parla un po’ meno di ordini professionali, ma la loro importanza nel tessuto economico italiano rimane molto grande, come è evidente anche dai numeri dei lavoratori iscritti. Secondo la Banca d’Italia si tratta di 2,4 milioni di persone che rappresentano all’incirca il 10% di tutti gli occupati del nostro Paese. Se il conteggio è allargato a coloro che sono impiegati in tutte le professioni regolate si sale a 5,8 milioni, cioè il 25% del totale.

Ma cosa si intende per professioni regolate? Sono quelle che richiedono determinati requisiti per essere esercitate, come avere superato un esame di Stato o possedere qualifiche specifiche, sono in tutto ben 148 e comprendono, per esempio, i medici, i farmacisti, gli insegnanti, ma anche i tatuatori o gli agenti sportivi. All’interno di queste ci sono le professioni ordinistiche, quelle svolte da coloro che appartengono a ordini professionali e che prevedono vincoli ancora più stringenti, come barriere all’ingresso più alti e, una volta superate, l’iscrizione ad albi appositi e regole di condotta precise. Parliamo dei già citati medici e farmacisti, ma anche degli avvocati, dei notai, dei commercialisti, degli architetti, dei veterinari, dei giornalisti e altri ancora.

L’occupazione nelle professioni regolate ai massimi di sempre

L’andamento numerico nel tempo degli appartenenti agli ordini professionali e alle professioni regolate storicamente è stato lo specchio dell’evoluzione dell’Italia da Paese contadino e operaio a Stato avanzato basato sul terziario. Man mano che l’economia diventava più complessa e diversificata e che l’istruzione cresceva, i professionisti assumevano sempre più importanza.

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Il loro aumento è stato rilevante soprattutto dopo la fine del boom economico, quando, appunto, la spinta dell’industria si è esaurita per lasciare il posto ai servizi avanzati. Secondo Banca d’Italia tra il 1995 e il 2019 i lavoratori delle professioni regolate sono cresciuti di circa il 33%, mentre quelli iscritti agli ordini professionali addirittura del 60%. Il Covid ha provvisoriamente diminuito il loro numero, ma alla pandemia è seguita una rapida ripresa occupazionale che ha portato al recupero completo dei livelli del 2019.

Come si vede dal nostro grafico, oggi tra gli italiani che svolgono professioni regolate ben il 25,1% è occupato nella sanità, mentre il 19,2% nell’istruzione, il 14% nel settore dei servizi professionali, l’8,4% nel commercio e il restante 33,3% in altri comparti. Nel sottogruppo degli iscritti agli ordini professionali gli addetti della sanità salgono al 33%, mentre quelli impiegati in servizi professionali crescono al 32%. Molto pochi tra questi, lo 0,7%, è nell’istruzione, perché il lavoro degli insegnanti è regolamentato ma non esiste un ordine specifico per essi.

Tra chi lavora in un settore regolato il 53% è laureato

Questi lavoratori sono generalmente molto più istruiti della media, ben il 53% di quanti svolgono professioni regolate ha una laurea, proprio grazie alla presenza di tutti coloro che lavorano nel mondo della scuola e dell’università, mentre tra quanti fanno parte anche di un ordine professionale la percentuale scende al 32%, a causa dell’assenza, tra questi, degli insegnanti. Si tratta, comunque, di una quota più alta di quella che si registra tra tutti gli altri lavoratori, del 28%, del resto avvocati, ingegneri, commercialisti, farmacisti, medici devono avere obbligatoriamente un titolo universitario.

Gli iscritti ad ordini professionali sono del 45% più ricchi degli altri lavoratori

Secondo i calcoli della Banca d’Italia questi professionisti iscritti agli ordini, che siano dipendenti o autonomi guadagnano ben il 45% in più degli altri lavoratori. Tuttavia gran parte di questo vantaggio è dovuto più a caratteristiche socio-demografiche che alla professione in sé, ovvero al fatto che si tratta mediamente di persone con un titolo di studio più alto, più anziane, che vivono in aree più ricche, come il centro città. Se il confronto è a parità di contesto, ovvero con lavoratori con la stessa istruzione ed età, con lo stesso genere e che abitano nello stesso territorio il gap di reddito scende al 15%. Si tratta comunque di una differenza notevole, ma, fa notare Banca d’Italia, nel tempo è diminuita, soprattutto tra il 2010 e il 2017.

Come mai? Quello è il periodo in cui sono stati più evidenti gli effetti delle liberalizzazioni che hanno interessato anche e soprattutto i settori in cui lavorano gli iscritti agli ordini professionali. Le riforme Bersani (nel 2006-2007) e Monti (2011-2012) hanno ridotto alcuni vincoli nell’esercizio della professione come quelli relativi alla formazione dei prezzi, consentendone la diminuzione al di sotto delle tariffe stabilite, e hanno permesso forme di pubblicità, quindi creando maggiore concorrenza e diminuendo i margini di guadagno.

Gli ordini professionali oggi sono più liberalizzati di 20 anni fa

Banca d’Italia, utilizzando un indicatore dell’Ocse, ha dato un punteggio al grado di regolamentazione degli ordini professionali, che va da un minimo di 0, se c’è liberalizzazione totale, a 6, in caso di rigidità completa. Nel 2003 per quanto riguarda le regole di esercizio della professione in Italia tale indice era di 4,2, nel 2008, dopo le prime riforme del 2006-2007, è sceso a 2,6 e poi nel 2013, dopo il varo di altre leggi, a 0,8, ma è in seguito risalito, andando a 1,1 nel 2018 e 1,3 nel 2023, a causa di alcune norme come quella sull’equo compenso che ha di nuovo irrigidito alcune regole.

Sono invece rimaste stabili a lungo, con un punteggio medio di 2,5, le rigidità degli ordini per quanto riguarda le barriere all’ingresso, che sono leggermente diminuite solo recentemente, scendendo a 2,3, grazie all’abolizione dell’esame di Stato per alcune professioni, come quelle di medico, psicologo, farmacista.

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Il livello di regolamentazione delle professioni, che si consideri la condotta del lavoro o le barriere all’ingresso, varia però molto in base all’ordine. Se nel caso dei geometri la rigidità raggiunge, secondo questa scala, un punteggio di 1,3, nel caso dei giornalisti si sale a 1,7, in quello degli avvocati a 2,3 e il massimo si raggiunge con i notai, con 4. Anche alla luce di questi dati probabilmente non è un caso che questi ultimi notai siano, in base agli Indici Sintetici di Affidabilità Fiscale (ex studi di settore) i professionisti più ricchi in Italia.

I dati si riferiscono al 2003

Fonte: Banca d’Italia

Leggi anche: Abilitazioni professionali, in Europa sono 5.500

 



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