Con gli occhi dei bambini – RASSEGNA STAMPA

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La guerra raccontata e disegnata dai piccoli

«La guerra toglie tanto, non è mai la soluzione, solo la pace può renderci felici». Rifugiato in Italia, Dimitri ha 11 anni, un’età in cui dovrebbe fare altro, invece di spiegare agli adulti cosa sia un conflitto bellico

« La guerra toglie tanto, non è mai la soluzione, solo la pace può renderci felici». Ha undici anni Dimitri, rifugiato in Italia. Ha undici anni, un’età in cui dovrebbe fare altro, invece di spiegare agli adulti cosa sia un conflitto bellico. La sua è una delle tante testimonianze contenute in Facciamo pace?!. La voce dei bambini sulla guerra (Brescia, Morcelliana Scholé, 2024, pagine 224, euro 23) a cura di Stella Cervogni, coordinatrice delle Scuole della Pace della Comunità di Sant’Egidio.

I dati – ricorda Marco Impagliazzo, presidente della Comunità di Sant’Egidio, nella prefazione al volume – sono terribili. «Di lacrime di bambini è pieno il mondo», basti citare Paesi come Ucraina, Gaza, Israele, Libano, Yemen, Afghanistan, Siria, Iraq, Sudan, Mozambico, Congo, o pensare alle guerre a bassa intensità in America Latina e Asia. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu – prosegue Impagliazzo ha identificato sei gravi violazioni contro i bambini in tempo di guerra: uccisioni e mutilazioni; reclutamento o utilizzo delle forze armate e/o gruppi armati; attacchi a scuole o ospedali; stupri o violenze sessuali; rapimenti; negazioni all’accesso umanitario. Oggi più di 40 milioni di bambini sono sfollati a causa dei conflitti; molti di loro vengono ridotti in schiavitù, vittime della tratta, abusati, sfruttati. Molti vivono in un limbo, senza status legale, senza accesso a istruzione e assistenza sanitaria.

«Ci stiamo assuefando alla sofferenza dei bambini? Purtroppo – chiosa Impagliazzo – sembra di sì». Una risposta vera e angosciante, davanti alla quale anche le Scuole della Pace tentano di aiutare a costruire la risposta. Sostegno allo studio e alla socializzazione, ma anche educazione alla pace e alla solidarietà: è questa l’anima portante del lavoro che le Scuole della Pace svolgono con le bambine e i bambini in un impegno quotidiano all’ascolto e al dialogo per imparare a vivere con gli altri e a rifiutare la violenza.

Diffuse in molti Paesi europei, africani, americani e asiatici, le Scuole sono spesso a diretto contatto con situazioni di povertà, violenza urbana, conflitti e guerre. I tanti materiali – racconti, poesie, testimonianze, disegni – prodotti dai bambini nei percorsi di educazione alla pace svolti fra il 2022 e il 2024 sono diventati prima una mostra (esposta inizialmente a Roma e poi in altre città italiane) e ora questo libro. Un volume che traccia un itinerario tra passato, presente e futuro: si va dal dolore provato da chi ha vissuto la Seconda guerra mondiale alle testimonianze dei piccoli che oggi subiscono le conseguenze di una guerra o perché ci vivono ancora in mezzo o perché ne sono appena fuggiti. Sono voci ucraine, congolesi, siriane, afgane, provenienti daí campi profughi: «Nel Donbass la guerra è una pioggia di bombe» (Miliana, otto anni, di Lyman); «gli alberi sono tutti brutti, non c’è più verde» (Tatiana, sei anni, di Irpin); «Ho finto di essere morto» (Paul, dieci anni, del Burkina Faso).

Il libro, però, parla soprattutto di futuro perché, attraverso i laboratori di educazione alla pace, i piccoli esprimono la loro visione del domani: La pace «è come una volpe che alla fine trova sempre la soluzione» (Asia, Milano). Sono voci chiare, limpide, sofferenti ma determinate, che ci invitano a guardare la guerra negli occhi, con i loro occhi di bambini, confermandoci l’orrore e l’inutilità assoluta di ogni conflitto.

Alle voci dei piccoli, il libro affianca le voci dei grandi della Storia. Da Maria Montessori a Papa Francesco, da Michel de Certeau a Gianni Rodari, fino alla splendida poesia Ho dipinto la pace di Tali Sorek. «Avevo una scatola di colori, / brillanti, decisi e vivi. / Avevo una scatola di colori, / alcuni caldi, altri molto freddi. / Non avevo il rosso per il sangue dei feriti, / non avevo il nero per il pianto degli orfani, / non avevo il bianco per il volto dei morti, / non avevo il giallo per le sabbie ardenti. / Ma avevo l’arancio per la gioia della vita, / e il verde per i germogli e i nidi, / e il celeste per i chiari cieli splendenti, e il rosa per il sogno e il riposo. / Mi sono seduta, e ho dipinto la pace».

Per chiudere, una fine che è però un inizio. Anzi, è l’inizio: il titolo, prima della mostra e ora del libro, è (come già detto) Facciamo pace?!. Una tipica frase dei bambini, in cui il punto interrogativo e il punto esclamativo tengono insieme una domanda, un invito, un augurio che i bambini non smettono mai di rivolgersi a vicenda. Una domanda che è, insieme, un dovere e un sogno: è affermare la necessità del dialogo e il rifiuto della guerra che – come ci ricorda Dimitri – non è mai la soluzione.

 

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[ Silvia Gusmano ]



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