Il Ceo Shou Zi Chew alla residenza del neoletto presidente a Mar-a-Lago. Nello stesso giorno la società ha presentato ricorso alla Corte Suprema contro la legge che vieta il social nel Paese a meno che non venga venduto a una azienda americana entro il 19 gennaio
Al pellegrinaggio verso Mar-a-Lago stanno partecipando un po’ tutti i più importanti esponenti delle Big Tech. Se l’amico – e stretto collaboratore – Elon Musk è ormai di casa nella residenza in Florida di Donald Trump, si sono poi man mano presentati alla corte del neoeletto presidente americano Mark Zuckerberg, Sam Altman, Jeff Bezos e Tim Cook. L’ultimo, in ordine di tempo, è forse il manager che più ha urgenza di parlare con il prossimo inquilino della Casa Bianca. Lunedì 17 dicembre si è presentato a Mar-a-Lago anche Shou Zi Chew, il Ceo di TikTok.
Non si hanno informazioni precise in merito a ciò di cui hanno parlato Trump e Zi Chew, ma di certo al cuore della loro discussione c’era la legge firmata lo scorso aprile da Joe Biden che impone il blocco di TikTok in tutto il Paese a meno che la piattaforma non venga venduta a una società americana. I tempi sono stretti: il ban – la cui idea originaria era in realtà dello stesso Trump – entrerà in vigore il prossimo 19 gennaio, ovvero un giorno prima dell’insediamento del nuovo presidente degli Stati Uniti. Il quale ha lasciato qualche dichiarazione in una conferenza stampa dopo aver visto Zi Chew. «Darò un’occhiata a TikTok» ha detto. Piattaforma a cui ammetter di aver riservato ormai «un posto caldo nel mio cuore, perché ho vinto tra i giovani di 34 punti. Ci sono persone che dicono che TikTok ha qualcosa a che fare con questo». Da parte sua, intanto, TikTok sta usando tutte le armi giuridiche a sua disposizione. Ha prima presentato ricorso alla Corte d’Appello (ricorso respinto) e nella stessa giornata della visita del Ceo a Mar-a-Lago ha presentato ricorso alla Corte Suprema. Ed è l’ultima chance, a meno che non ci sia un intervento di Trump.
Come già nel precedente appello, TikTok arriva alla Corte Suprema sostenendo che la legge viola il primo emendamento della Costituzione americana, che garantisce la libertà di espressione. « Purtroppo, il ban di TikTok è stato ideato e sostenuto basandosi su informazioni inesatte, fuorvianti e speculative, configurandosi come una vera e propria forma di censura nei confronti del popolo americano. Se non sarà fermato, questo divieto rischia di soffocare le voci di oltre 170 milioni di cittadini negli Stati Uniti e in tutto il mondo a partire dal 19 gennaio 2025», aveva dichiarato un portavoce dell’azienda subito dopo la decisione della corte d’appello di respingere il primo ricorso.
La legge che vieta TikTok negli Stati Uniti è stata infatti voluta dal Congresso e da Joe Biden per le forti preoccupazioni di sicurezza nazionale, a causa dei legami che ByteDance – casa madre cinese di TikTok – potrebbe avere con le autorità cinesi. Il timore è che i dati degli utenti e le informazioni raccolte possano essere condivise con il governo di Pechino. Cosa che ByteDance ha sempre negato accada e possa mai accadere. Ora Trump apre velatamente alla possibilità di abrogare la legge firmata dal suo predecessore, anche se in realtà era stato suo il primo a tentare di bloccare TikTok. Nel 2020 aveva chiesto al colosso cinese di trovare un partner americano a cui vendere la parte di business statunitense. L’idea si è poi arrestata ed è stata portata a termine nell’amministrazione successiva. Ma TikTok nel mentre è diventata un’arena di comunicazione fondamentale per la politica e lo stesso Biden si è iscritto in campagna elettorale. Senza contare il successo di Trump: 14,7 milioni di follower e video che collezionano decine di milioni di view. Uno strumento di propaganda di cui forse ora potrebbe essere difficile fare a meno.
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