Milano, le «Scatole di Natale» di Marion Pizzato: «Dodicimila pacchi per chi è meno fortunato. Astenersi svuota cantine»

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di
Alessio Di Sauro

L’inizio tra amiche, poi la raccolta benefica è diventata virale: il format della scatola con quattro oggetti. «Anziché chiedermi “perché?” mi sono chiesta “perché no?” e mi sono lanciata». Dall’inizio i doni distribuiti sono 130 mila

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Santa Claus esiste davvero e vive a San Siro. Ha raccolto dodicimila pacchi per regalare un Natale a tutti, riscaldando le feste di una Milan che ancora una volta tiene ben saldo il coeur in man. Era nata nel 2020 come poco più che colletta di quartiere; ora l’iniziativa delle «Scatole di Natale» solidali ha sfondato il tetto dei 130 mila doni raccolti in quattro anni. E sono tornate, di nuovo, per donare un pacco da mettere sotto l’albero anche a chi l’albero proprio non ce l’ha.

A fare la gioia dei più bisognosi è una volta di più la 42 enne Marion Pizzato, origini francesi e milanesità acquisita, studi alla Bocconi, mamma di due bambini e titolare di un’agenzia di relocation. Il suo mestiere è quello di aiutare gli espatriati a trovare un lavoro; il suo passatempo dare una mano a senzatetto e indigenti a ritagliarsi un momento, se non di gioia, quantomeno di spensieratezza. «L’idea è semplice — spiega —, basta inserire in una scatola quattro oggetti: un indumento caldo, un prodotto da toeletta, un passatempo e una leccornia, da confezionare con un bel biglietto di auguri e l’indicazione dei destinatari, se uomini, donne, bambini o anziani. Il Natale deve essere di tutti».
 
Una raccolta iniziata il 23 novembre e appena terminata, che ha visto di giorno in giorno decollare il numero di nastri e coccarde che affollano il deposito di Settimo Milanese, adibito a punto di raccolta: alla distribuzione dei 12 mila doni penserà lei, con il supporto di 80 volontari — preponderante la rappresentanza femminile — e di 140 associazioni benefiche, dall’Opera cardinal Ferrari agli Angeli della Strada. «Ma abbiamo ricevuto richieste anche da aziende come Shiseido e Aim e collaborato con più di 20 scuole della Città metropolitana, dall’Istituto Umberto Eco alla primaria San Giusto», puntualizza.




















































Astenersi svuota-cantine, la condizione indispensabile è che gli articoli siano in perfetto stato. «Molti si lanciano su sciarpe e guanti, piccola profumeria, mazzi di carte e piccoli giochi da tavolo — commenta l’ideatrice —, il target dei destinatari è variegato, ma come è normale che sia i bambini fanno la parte del leone». Un’idea nata dall’analogo format francese delle Boîtes de Noël e che ben presto ha travalicato le Colonne d’Ercole dei confini cittadini, allargandosi in tutto lo Stivale — da Torino a Genova, da Napoli a Palermo —. Merito della slavina innescata dal passaparola via social e, soprattutto, dei comitati autonomi che hanno rilanciato l’iniziativa, con il patrocinio della stessa Pizzato. 

«Tutto è nato per caso quattro anni fa — ricorda dribblando a fatica pacchi e cartoni —. Invece di chiedermi perché, mi domandai perché no. Contattai via Whatsapp alcune amiche e creai una pagina Facebook. Non avevo idea di come gestire il tutto, mi sarei ritenuta soddisfatta con qualche decina di adesioni. Ebbene, ne arrivarono 50mila».

Un fenomeno virale — in senso buono, bontà sua — che nel primo Natale pandemico stravolge le abitudini domestiche dell’allora 38enne, costretta a chiedere ausilio ad amici e volontari affinché si incaricassero di trasferire le scatole dal pianerottolo di casa Pizzato ai più ampi locali delle parrocchie di Sant’Elena, in zona San Siro, e di Santa Maria Nascente, al Qt8. Dopo l’exploit iniziale i numeri si sono stabilizzati attorno ai 15 mila pacchi all’anno, ma si sussurra che alla diminuzione della quantità abbia fatto da contraltare una proporzionale impennata della qualità dei regali. D’altronde il vademecum degli errori da non commettere è articolato: bando alle scatole non debitamente incartate (e no, la carta di giornale non vale) e quelle senza l’indicazione del destinatario: «Perché in quel caso saremmo costrette ad aprirle per verificare il contenuto, altrimenti rischieremmo di ritrovarci con rasoi e schiuma da barba in dono ai fanciulli: altro che sorrisi, scoppierebbero in lacrime».

Ostracismo anche nei confronti di indumenti di seconda mano, pennarelli scarichi, dizionari, prodotti liofilizzati e conserve: «L’obiettivo non deve essere quello di svuotare armadio e dispensa ma di regalare un’emozione», sentenzia Pizzato, che non manca di sottolineare l’abc del galateo della messaggeria, talvolta pagata da un certo paternalismo di fondo: «C’è gente che nel biglietto scrive: “Buon Natale, a te che sei povero”. Ecco, eviterei». Perché sì, talvolta anche a caval donato è necessario guardare in bocca.


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