Nell’età della disattenzione si delega alla tecnica tutta quell’attitudine prettamente animale di concentrarsi su qualcuno o su qualcosa, attitudine – se non vera e propria responsabilità -che, in un tipico e onnipresente circolo vizioso, per colpa proprio della tecnica, stiamo perdendo inesorabilmente e sempre di più velocemente.
Vedere Elon Musk entrare nel suo taxi a guida autonoma potrebbe richiamare alla memoria alcune famose pagine di Charles Dickens che raccontano le sensazioni di coloro che salivano per la prima volta su un treno. Ricordate? Il Circolo Pickwick, così ben raccontato da Alessandro Baricco nella sua omonima trasmissione del 1994?
Solo che questa volta ad avere paura non è il passeggero ma quelli che camminano (ancora) per strada, i semplici “viandanti” come noi. Ad avere paura sono solo coloro che avvertono quella stessa strana insofferenza dei viaggiatori dickensiani che, per vincere la paura di entrare nella pancia di mostri metallici e rumorosi, si riparavano dietro a un libro.
Ahinoi, anche i viandanti di oggi si riparano dietro a uno schermo di cellulare anche se probabilmente lo fanno per vincere un altro tipo di emozione.
Forse la paura che potrebbe smuoverci da questo stupido torpore digitale che ottunde a poco a poco la nostra capacità di attenzione (e responsabilità), dovrebbe essere questa: perdere la nostra peculiarità che chiamiamo “umanità”. A patto, beninteso, di saperla ancora individuare e definire la «umanità»: spesso dimentichiamo che, tra una transizione e l’altra, anch’essa, probabilmente, è in transito.
Avanzo allora una proposta, proviamo a pensare all’ ”umano” come a chiunque sia in grado di riconoscere il CAOS e il FALSO; chiunque cioè sia in grado di offrire, come direbbe il poeta americano Robert Frost, “un soggiorno momentaneo contro la confusione”.
In un’epoca come la nostra che cerca con ogni mezzo di confondere e falsificare il significato delle parole, questa sensibilità al riconoscimento della confusione ha ovviamente a che fare con la lingua e con le parole.
Se oggi, ad esempio, ci imbattiamo in un testo scritto da chat GPT, riconoscere il caos e il falso diventa un compito ancora più difficile dato che al di là del messaggio scritto conta di più l’intenzione di “chi” ha voluto generare quel messaggio e capire chi sia quel “chi” e “come” lo voglia utilizzare.
Oggi tutti con le parole possono fare potenzialmente quello che vogliono compreso stravolgere il significato stesso delle medesime: lo strumento della comunicazione (la parola) diventa il fine della comunicazione ( se non proprio la fine).
Una parola dunque sterile e priva di significato oppure liquida e senza la possibilità di cristallizzare in un concetto, meno che meno in un oggetto, in una verità (seppur relativa). Per non parlare dell’incapacità tanto diffusa nel nostro Paese di comprendere un testo complesso, come certificato dal recente rapporto Piaac (Programme for the international assessment of adult competencies, https://www.oecd.org/en/publications/do-adults-have-the-skills-they-need-to-thrive-in-a-changing-world_b263dc5d-en.html)
Come ci ricorda Giorgio Agamben la verità dimora nella lingua e chi non avesse cura di questa dimora sarebbe un cattivo amante della verità.
Essere custodi della lingua (come capita di fare ai filosofi e ai poeti) è dunque un compito importante per salvaguardare quella capacità (peculiare, umana) di riconoscere il CAOS e il FALSO; ed è inoltre compito eminentemente politico allorché i nostri stessi comportamenti vengono per così dire donati o condonati per decreto (parole); allorché la nostra stessa immunità può essere decretata o sanzionata a seconda del valore che verrebbe (arbitrariamente) attribuito a un dato scientifico e allorché il nostro futuro su questo pianeta potrebbe addirittura dipendere da chi usa il termine accomodante di cambiamento climatico al posto di quello più incisivo e verificabile di riscaldamento globale.
Nell’ Età della Disattenzione forse bisognerebbe prestare un po’ più di ….attenzione a coloro che ci offrono questi rari e momentanei soggiorni contro la confusione; “ascoltare” coloro che sanno di cosa parlano perché conoscono le parole delle cose:
…
Era la sua voce a rendere il cielo
più acuto nel suo scomparire.
Lei misurava puntualmente la sua solitudine.
Era l’unica artefice del mondo
in cui cantava. E quando cantava il mare,
qualunque cosa fosse, diventava
la sua canzone, perché lei lo creava.
Noi, guardandola camminare sola,
sapevamo che per lei non c’era mondo
tranne quello che cantava e, cantando, creava.
[Da L’idea di ordine a Key West di Wallace Stevens]
L’idea di ordine a Key West è una poesia scritta nel 1934 dal poeta americano Wallace Steven (Premio Pulitzer 1955). È una delle tante poesie incluse nella sua raccolta Idee di ordine.
Il motivo principale della poesia è il giudizio ripetuto della superiorità della comprensione di qualcosa rispetto alla cosa stessa ed è un inno allo spirito creativo, la musa che mette ordine nel caos del vento e del mare.
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