La Brigata Marina “San Marco” starebbe addestrando in Puglia le unità anfibie d’élite delle forze armate ucraine. Molto più che un’ipotesi dato che lo scorso anno l’Intendenza della Marina Militare di Brindisi ha affidato ad una società cooperativa piemontese i servizi di interpretariato e traduzione in lingua ucraina da svolgersi per un periodo di cinque anni presso le infrastrutture militari che ospitano i reparti del “San Marco”. Lo denuncia il professore, giornalista e attivista pacifista Antonio Mazzeo su PaginaEsteri.
Questa notizia, accuratamente ignorata dai media italiani compiacenti e collusi, dimostra che l’Italia, una nazione storicamente legata a una politica estera orientata alla mediazione e alla pace, si è allontanata dai suoi principi fondanti.
L’addestramento delle truppe ucraine sul territorio italiano rappresenta un’ulteriore dimostrazione di come il governo attuale, guidato da una visione subalterna agli interessi della NATO e degli Stati Uniti e dalla possibilità di fare fare immensi guadagni all’industria bellica di cui è legato a doppio filo tramite il ministro della difesa Guido Crosetto ex rappresentante d’armi, stia aggirando leggi nazionali, principi costituzionali e norme internazionali.
A ciò si aggiunge la crescente vendita di armi non solo all’Ucraina, ma anche ad Israele, confermando una deriva pericolosa che rischia di compromettere la sicurezza, l’economia e lo sviluppo del nostro Paese.
Come evidenziato da Antonio Mazzeo l’addestramento delle truppe ucraine da parte della Brigata Marina San Marco a Brindisi e Taranto solleva interrogativi gravissimi.
La Costituzione Italiana, all’articolo 11, sancisce il ripudio della guerra come strumento di risoluzione delle controversie internazionali. Nonostante il governo giustifichi l’operazione come un “atto di solidarietà” a un Paese aggredito, appare evidente che l’addestramento di soldati destinati al fronte non possa in alcun modo essere interpretato come un’azione volta a promuovere la pace. Al contrario, si configura come una partecipazione indiretta al conflitto, un coinvolgimento militare mascherato da cooperazione.
L’Italia sta inoltre ignorando gli obblighi derivanti dal diritto internazionale. Le Nazioni Unite, attraverso la Carta del 1945, hanno stabilito che tutti gli Stati membri devono contribuire alla risoluzione pacifica delle controversie. L’addestramento di truppe, soprattutto di un esercito coinvolto in un conflitto come quello ucraino, contraddice questa impostazione. In particolare, il nostro Paese rischia di essere considerato un attore diretto nel conflitto, con conseguenze diplomatiche e legali di vasta portata.
Antonio Mazzeo ha sottolineato come queste attività rappresentino una grave violazione del principio di neutralità, esponendo l’Italia a potenziali ripercussioni. Gli addestramenti militari condotti sul nostro territorio potrebbero essere considerati una partecipazione indiretta alle ostilità, andando contro i principi fondamentali del diritto umanitario internazionale.
Un governo fuori legge e in cerca di profitti
L’addestramento delle truppe ucraine si inserisce in un contesto più ampio di militarizzazione della politica estera italiana. La crescente vendita di armi all’Ucraina e ad Israele, spinta da interessi economici e geopolitici, rivela la volontà del governo di anteporre il profitto al rispetto delle leggi e della sicurezza nazionale.
La legge italiana sull’export di armamenti (Legge 185/1990) stabilisce chiaramente che la vendita di armi è vietata verso Paesi in guerra o che violano i diritti umani. Tuttavia, l’Italia continua a fornire equipaggiamenti militari all’Ucraina, un Paese impegnato in un conflitto armato, e a Israele, le cui azioni nei Territori Occupati sono state più volte condannate dalla comunità internazionale. Azioni che hanno motivato il mandato d’arresto della CPI nei confronti del premier israeliano Netanyahu per crimini contro l’umanità.
Questa politica, mascherata da “sostegno agli alleati”, viola apertamente la normativa nazionale.
Mazzeo ha denunciato come l’industria bellica italiana stia prosperando grazie a questi traffici, con un governo pronto a sacrificare ogni principio in nome degli interessi economici e della subordinazione alla NATO e agli Stati Uniti.
Il pericolo per la sicurezza nazionale
L’attuale politica di supporto militare all’Ucraina e di allineamento incondizionato agli interessi statunitensi espone l’Italia a gravi rischi. Da un lato, il coinvolgimento indiretto nel conflitto ucraino rende il nostro Paese un bersaglio potenziale per eventuali rappresaglie. Dall’altro, l’invio di armi e l’addestramento di soldati non solo alimentano l’escalation bellica, ma sottraggono risorse preziose che potrebbero essere destinate a settori strategici come la sanità, l’istruzione e la transizione ecologica.
La sicurezza interna è ulteriormente compromessa dalla possibilità che le armi inviate in Ucraina finiscano in mano a organizzazioni criminali o terroristiche (anche italiane) come già accaduto in precedenti conflitti. Questa dinamica, ampiamente documentata in contesti come quello libico o siriano, rischia di destabilizzare ulteriormente la nostra società.
L’economia sacrificata sull’altare della guerra
La subordinazione dell’Italia agli interessi della NATO e degli Stati Uniti non è solo un problema di sicurezza, ma anche di economia. Le spese militari sono in costante aumento, con un impatto devastante sul bilancio dello Stato. La priorità data agli investimenti bellici sottrae risorse cruciali per affrontare crisi strutturali come la disoccupazione, la precarietà lavorativa e il caro vita.
Occorre criticare duramente questa politica, definendola un tradimento degli interessi nazionali. L’Italia non solo sta finanziando una guerra che alimenta l’instabilità globale, ma lo sta facendo a scapito del benessere dei suoi cittadini, creando un circolo vizioso di impoverimento economico e dipendenza geopolitica.
Un governo protetto dall’omertà mediatica
Uno degli aspetti più preoccupanti di questa deriva è l’assoluto silenzio dei media italiani. Le principali testate giornalistiche, spesso legate a doppio filo agli interessi delle élite politiche ed economiche, hanno evitato di riportare in maniera critica le attività di addestramento delle truppe ucraine o la vendita di armi. Questo silenzio che di fatto è una forma di “complicità sistemica”, permette al governo di agire senza dover rendere conto delle sue azioni.
L’assenza di un dibattito pubblico sulla violazione delle leggi e dei principi costituzionali è il segno di un sistema che non solo ignora le regole, ma che si considera al di sopra di esse.
Un richiamo alla legalità e alla pace
L’addestramento delle truppe ucraine e la vendita di armi rappresentano un punto di non ritorno per l’Italia, che rischia di compromettere il suo ruolo di promotore della pace nel Mediterraneo e nel mondo.
L’attuale governo, protetto da una coltre di omertà mediatica e sicuro di godere di totale impunità, sta sacrificando i valori fondamentali del nostro Paese sull’altare degli interessi economici e geopolitici della NATO e degli Stati Uniti. Tuttavia la storia ci insegna che nessuna situazione è immutabile e perpetua. Come è più volte successo in passato, la leadership che si crede intoccabile potrebbe essere chiamata a rispondere delle sue azioni e violazioni delle leggi e diritti umani. È solo questione di tempo e di rapporti di forza. Un nuovo Aprile 1945 potrebbe essere più vicino di quello che si immagina.
Come sottolinea Antonio Mazzeo, è urgente che l’opinione pubblica si mobiliti per richiedere il rispetto delle leggi nazionali e internazionali, e per riportare l’Italia sulla strada della legalità e della pace. L’alternativa è un futuro segnato da guerre infinite, instabilità e impoverimento, in cui il nostro Paese sarà sempre più relegato al ruolo di pedina subalterna in uno scacchiere globale dominato da interessi altrui.
Aurelio Tarquini
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