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La procura di Genova ha indagato due agenti della polizia penitenziaria per la morte di Amir Dhouiou, il detenuto di 21 anni di origini tunisine, che si è ucciso il 4 dicembre nel carcere di Marassi, quartiere di Genova.

La pm Gabriella Dotto aveva aperto subito un fascicolo e aveva incaricato gli investigatori di acquisire le immagini di videosorveglianza per capire cosa fosse successo con esattezza.

Il giovane, accusato di furto e resistenza era stato messo al centro clinico, cioè la sezione speciale nella quale sono ospitati reclusi con particolari problemi di salute, e monitorati tutto il giorno. Il ragazzo aveva già tentato di uccidersi. Per questo gli investigatori vogliono capire se la sorveglianza a cui doveva essere sottoposto sia stata svolta correttamente o se non ci fosse modo per evitare il gesto nonostante tutti i controlli.

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In Italia il problema delle carceri è un tema presente da tempo e la regione Liguria non è da meno. A ottobre scorso Primocanale ha pubblicato un’inchiesta sui problemi delle carceri liguri attraverso testimonianze, documenti e numeri.

Tra i numeri in evidenza ha parlato proprio del carcere di Marassi, l’istituto più grande della Liguria che ha aperto le sue porte nel lontano 1902. Da anni l’istituto lotta contro il problema del sovraffollamento, con numeri da capogiro: a ottobre 2024 Marassi ospitava 679 detenuti rispetto a una capienza massima di 550

“Le celle straripano di detenuti con più di 310 persone in attesa di giudizio definitivo e il numero di stranieri che è sopra al 50% del totale delle persone detenute. Secondo i sindacati molte sono tossicodipendenti o affette da patologie psichiatriche, rendendo il clima ancora più esplosivo”. Le denunce riguardano spesso il sovraffollamento, la carenza di organico e il provveditorato di Torino, competente per Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta e colpevole secondo i sindacalisti di non trasferire i detenuti violenti liguri ma anzi, “di farne arrivare di nuovi dai carceri delle altre regioni”.

Contemporaneamente alla complessa vita dell’istituto genovese, sono tanti i detenuti che seguono percorsi formativi o prendono parte a realtà come quella del Teatro dell’Arca, direttamente all’interno della casa circondariale, uno spazio dove chi deve scontare una pena può staccare e immedesimarsi nella vita di altri, costruito da detenuti per i detenuti e inaugurato nel 2016

Nell’imperiese come a Genova pesa il sovraffollamento, caratterizzato da numeri minori ma sempre importanti: nel mese di ottobre 265 detenuti su un numero massimo di 223. A settembre sono stati almeno cinque gli episodi di violenza denunciati dai sindacati. Tra gli ultimi quello che ha visto una ventina di detenuti rifiutarsi di far rientro in cella e finire per devastare la terza sezione, già oggetto di vandalismi a fine agos

C’è poi il carcere di Chiavari: il 90% dei detenuti è tossicodipendente (molte delle persone detenute sono in carcere per reati legati allo spaccio o all’uso di sostanze) ma anche i traffici illeciti, ma si parla anche del carcere di Imperia con al centro la carenza di organico e quello di La Spezia, dove l’edificio è fatiscente a causa di gravi infiltrazioni d’acqua e un alto numero di suicidi, il più alto in tutta la Liguria. 

Il tema è quanto mai complesso da approcciare e gestire: le difficoltà sono tante e il disagio aumenta. Si parla spesso di educazione e supporto al disagio come strumento di prevenzione, ma si dibatte nei salotti politici e dei media sul ruolo con cui le carceri sono nate e si sono trasformate, passando dal solo compito punitivo fine a se stesso, a quello rieducativo. E come si fa a rieducare, sensibilizzare qualcuno nel degrado? Come spesso accade il problema di pochi, è il risultato di qualcosa di molto più ampio. 

Da qualche giorno è stata pubblicata la storia di Banda Biscotti che arriva dal carcere di Verbania,si tratta di un progetto che amalgama sapientemente diversi ingredienti: lavoro nelle carceri, inclusione, prodotti biologici, mercati solidali e reinserimento sociale.

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Leggo dall’articolo “In un contesto di generale peggioramento delle condizioni nelle carceri, i progetti lavorativi mostrano risultati strabilianti: secondo i dati del Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro (CNEL) i detenuti che hanno un contratto di lavoro hanno un tasso di recidiva del 2%, contro quasi il 70% della media nazionale. In altre parole chi ha la possibilità di lavorare durante la reclusione, quando finisce la sua detenzione non torna più a delinquere.

Purtroppo la percentuale di persone che lavora nelle carceri oggi è minoritaria a causa della mancanza di fondi e strutture adeguate. Parliamo di oltre 18.000 persone su una popolazione carceraria che si attesta attorno alle 56.000, circa il 35%.

Dati alla mano, il lavoro carcerario rappresenta il miglior modo per riabilitare chi ha commesso dei crimini. E i vantaggi non sono solo per i carcerati. Il fatto che chi esce dal carcere non torni quasi mai a delinquere diventa una garanzia di sicurezza e serenità anche per il resto della società. Insomma, conviene a tutti.” 

L’esempio di Banda Biscotti è uno, ma ce ne sarebbero molti altri e sono lì, visitabili e contattabili da tutti e tutte per far comprendere come il ruolo delle carceri e dei reclusi, potrebbe cambiare oggi stesso lo volessimo, trasformandosi da un problema, come viene spesso identificato, ad una risorsa utile per tutti quanti.



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