Il presidente eletto Donald Trump si insedierà alla Casa Bianca il prossimo 20 gennaio, ma ha già le idee chiare per il suo prossimo programma di governo. Il tycoon ha fornito delle anticipazioni in un’intervista esclusiva, la prima da quando è stato rieletto, rilasciata al programma Meet the press dell’emittente televisiva NBC. Per prima cosa, il presidente eletto ha promesso di porre fine allo ius soli, ovvero il diritto alla cittadinanza americana per chiunque sia nato negli Stati Uniti. “Dobbiamo farla finita. È ridicolo” ha detto, senza precisare come intende procedere per superare i prevedibili ostacoli che si presenteranno, poiché tale principio è sancito dalla Costituzione. Inoltre, ha ribadito i suoi piani di deportazione di massa degli immigrati illegali che vivono negli Stati Uniti, compresi quelli con familiari cittadini statunitensi. “Non voglio distruggere le famiglie – ha detto – quindi l’unico modo è tenerli insieme e poi rimandarli tutti indietro”. Trump – che ha nominato Tom Homan nuovo ‘zar della frontiera’ – si è offerto di collaborare con i democratici per aiutare i cosiddetti ‘dreamers’ – immigrati che sono arrivati negli Stati Uniti da bambini e che rientrano nel DACA, un programma federale creato nel 2012 sotto la presidenza Obama – a restare nel paese. Nel faccia a faccia con Kristen Welker, il tycoon ha affermato anche che intende graziare coloro che erano coinvolti nella rivolta del Campidoglio del 2021 e ha promesso di emanare numerosi ordini esecutivi fin dal primo giorno anche su economia, energia e politica estera.
Dazi, uno strumento di ricatto?
I dazi, è noto, sono un pilastro del programma economico proposto da Trump, che tuttavia ha detto di non poter garantire che una volta imposti non aumentino i costi per i consumatori. “Non posso garantire nulla. Non posso garantire il domani. Ma posso dire che appena prima del Covid, avevamo la più grande economia nella storia del nostro Paese”. Per mesi il presidente eletto ha promesso di imporre tariffe generalizzate su tutte le importazioni, un piano che vede schierarglisi contro diversi e illustri economisti, convinti che le tariffe potrebbero far impennare i prezzi dei beni che le aziende riverserebbero sui consumatori statunitensi. Preoccupazioni che Trump ha minimizzato, rilanciando nelle ultime settimane, e minacciando di istituire imposte contro le merci in ingresso provenienti da Canada e Messico, due dei maggiori partner commerciali degli USA se i due paesi non si impegneranno a fare di più per reprimere il flusso di migranti illegali e droghe attraverso il confine. “I dazi sono uno strumento molto potente, se usati correttamente – ha detto Trump – e non solo economicamente, ma anche per ottenere altre cose al di fuori dell’economia”.
Trump avverte la Nato?
Il presidente eletto ha fissato i paletti anche nel rapporto con l’Alleanza Atlantica: se gli altri membri non contribuiranno alle spese per la difesa, gli Usa potrebbero anche abbandonarla. “Prenderei assolutamente in considerazione l’ipotesi” ha detto all’intervistatrice, se gli alleati “non pagassero i loro conti” e se non cominceranno a “trattarci in modo equo”. Non è certo la prima volta che Trump avanza minacce del genere, che ha ripetuto anche durante l’ultima campagna presidenziale. Già nel corso del suo primo mandato, d’altra parte, il tycoon aveva acceso i riflettori sulla partecipazione sbilanciata alla difesa comune sollecitando il contributo – pari al 2% del Pil – da parte di tutti i paesi membri dell’organizzazione. Da allora la contribuzione è aumentata – oggi i paesi in regola con il contributo sono 18 e investono 380 miliardi di dollari – ma la soglia del 2% non viene raggiunta da tutti. Era prevedibile che Trump riproponesse la questione e va in questa direzione la nomina di Matt Whitaker come ambasciatore alla Nato: “Matt è un forte guerriero e un patriota leale, che assicurerà che gli interessi degli Usa possano avanzare e siano difesi”, aveva detto il presidente eletto quando ha formalizzato la sua nomina.
Ucraina: meno aiuti più negoziati?
L’arrivo di Trump sulla scena internazionale è destinato ad avere un impatto anche sulla guerra tra Ucraina e Russia. Anche su questo cruciale tema di politica estera, il tycoon ha mantenuto la linea tenuta in campagna elettorale, ipotizzando una riduzione degli aiuti a Kiev: “È possibile. Sì, probabilmente, certo” ha detto. Pochi giorni dopo l’intervista, in occasione della riapertura della cattedrale di Notre-Dame, dopo l’incendio che l’ha devastata nel 2019, Trump ha incontrato l’Zelensky alla presenza del padrone di casa, il presidente francese Emmanuel Macron. “Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e l’Ucraina vorrebbero fare un accordo e fermare la follia” ha scritto Trump sulla sua piattaforma Truth segnalando, ancora una volta, che se anche gli Stati Uniti resteranno la prima superpotenza per tutto il secolo, ormai le sue priorità sono diverse. “Dovrebbe esserci un cessate il fuoco immediato e dovrebbero iniziare i negoziati” ha detto, aggiungendo: “Conosco bene Vladimir. È il suo momento di agire. La Cina può aiutare. Il mondo sta aspettando”.
Il commento
Di Gianluca Pastori, ISPI Associate Research Fellow
Nell’intervista a NBC News, Donald Trump ha rilanciato, come parte di un possibile ‘programma dei cento giorni’, molti dei punti portati avanti nella scorsa campagna elettorale. Anche se non sono mancati spunti ‘di apertura’ (come l’accenno a una possibile soluzione legale al problema del c.d. ‘Dreamers’), i toni sono rimasti quelli noti. Ancora una volta, l’incognita resta la realizzabilità politica dei progetti delineati. Da una parte, è vero che la nuova amministrazione sarà più forte e coesa di quella che si è insediata nel 2017 e che – dopo l’insediamento – il Presidente potrà contare su una maggioranza in Congresso più compatta e omogenea. D’altro canto, è vero anche che i risultati definitivi del voto di novembre hanno ridimensionato parecchio la misura della sua vittoria e hanno confermato l’immagine di un paese che resta – nei fatti – spaccato in due. La consapevolezza di questo stato di cose può concorrere a spiegare le (parziali) aperture fatte del Presidente, anche se nell’insieme sembra che l’intervista lasci aperti più interrogativi rispetto a quelli cui ha dato risposta.
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