Bambini e ragazzi, anche di 13 e 14 anni, sono stati legati al letto per 90 volte con fasce a stringergli polsi, caviglie e busto, nei Servizi psichiatrici di diagnosi e cura (Spdc) degli ospedali lombardi nel 2023.
Il dato sconvolgente è emerso da un’istanza di accesso agli atti inviata alla Regione Lombardia e relativa a numero, durata e età delle persone legate al letto nei reparti psichiatrici ospedalieri nell’ultimo triennio.
Tra 2021 e 2023 in Regione si registra sia una preoccupante crescita dell’uso della pratica di legare ai quattro arti, soprattutto per quanto riguarda i minorenni, sia un abbassamento dell’età. Le contenzioni dei minori in Spdc corrispondevano al 6,3% dei ricoveri nel 2021 (anno in cui adolescenti sono stati legati 24 volte e avevano un’età minima di 15 anni) ma la percentuale è quasi raddoppiata in un anno, raggiungendo l’11,8% nel 2022 (quando gli episodi sono stati 56, con i più piccoli che avevano 14 anni), avvicinandosi a quella già molto alta degli adulti contenuti, che in Lombardia, nello stesso anno, è stata del 17,5%.
“La carenza di posti letto di neuropsichiatria ha portato purtroppo ad un aumento del numero dei ricoveri di minorenni in Spdc -commenta Antonella Costantino, ex presidente della Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza e direttore della Neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza del Policlinico di Milano- assistiamo a un aumento generale degli accessi ai servizi e dei ricoveri di minorenni con disturbi psichiatrici, con un continuo incremento della complessità delle situazioni cliniche che arrivano sia in pronto soccorso, sia agli altri servizi, spesso con vulnerabilità multiple anche sociali e di abuso di sostanze o dipendenze comportamentali”.
Ai minori legati negli Spdc vanno aggiunti quelli legati nelle neuropsichiatrie infantili: 116 episodi su 37 ragazzi nel 2023.
Ma si legano al letto di più e per un periodo di tempo crescente, anche gli adulti. Il documento inviato ad Altreconomia dalla Direzione generale Welfare della Regione è un file Excel di 8.487 righe, corrispondenti al numero contenzioni praticate nel triennio. In una colonna sono indicate le età dei pazienti e nella successiva le ore durante le quali sono stati legati al letto: si va dalle contenzioni inferiori a un’ora (un decimo del totale) a quelle di 150 ore. La somma è di 185.511 ore di contenzione meccanica praticate in tre anni: corrispondenti a 7.729 giorni, ovvero più di 21 anni.
Gli episodi di contenzione in Spdc, che nel 2021 erano stati 2.526, sono cresciuti di circa 200 unità nel 2022 (2.705), e di altri 200 nel 2023 (2.922) raggiungendo l’anno scorso il record di quasi tremila in un anno. Ed è aumentata anche la loro durata: nel 2021 le persone sono state bloccate mani e piedi nei reparti psichiatrici ospedalieri in media per 19,7 ore, nel 2022 per 22,8 ore e nel 2023 per 23,2 ore. Se nel 2021 c’era stata solo una contenzione superiore ai sei giorni consecutivi, ce ne sono state tre nel 2022 e sei nel 2023.
Nell’istanza di accesso avevamo chiesto di indicare anche i nomi degli ospedali dove gli episodi sono avvenuti, ma questo dato non ci è stato concesso per “tutelare la privacy degli assistiti” in quanto si è ritenuto che “potrebbe comportare il rischio di reidentificazione degli interessati”.
Sicuramente questa decisione ha impedito di capire quali sono gli ospedali lombardi dove questo avviene di più. Dal file Excel, comunque, emerge la costante crescita di questa pratica, nonostante l’ex ministro Roberto Speranza avesse stanziato 60 milioni di euro -di cui 11,35 assegnati proprio alla Lombardia- per il suo “superamento”.
L’abuso della contenzione meccanica è la motivazione per cui Corte europea dei diritti umani (Cedu) il 7 novembre 2024 ha condannato il nostro Paese al pagamento 41.600 euro per danni e ottomila di spese legali a Matteo, che nel 2014 -quando aveva 19 anni- è stato legato per nove giorni consecutivi, oltre che sottoposto a un massiccio uso di farmaci, senza poter vedere neanche i genitori. Con la sentenza “Lavorgna vs Italia”, la Cedu ha stabilito che gli operatori sanitari nell’Spdc dell’ospedale di Melzo (Milano), hanno tenuto il ragazzo legato al letto per un periodo di tempo eccessivo, senza che ci fossero le condizioni di necessità e urgenza stabilite dalla legge e senza che fossero tentati metodi non coercitivi per calmarlo come previsto dalle linee guida dell’ospedale.
Se la lunga contenzione fisica e farmacologica è stata ritenuta legittima dal pubblico ministero che nel 2019 ha chiesto l’archiviazione della denuncia per sequestro di persona, la Cedu ha invece sancito che è stato violato l’articolo 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo: “Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti”.
“La nostra causa non è stata fatta contro la contenzione -afferma Davide Galliani, professore della Statale di Milano che ha seguito da vicino il caso- ma questa deve essere necessaria e proporzionale, come stabilito anche dalla sentenza Mastrogiovanni nel 2018”. La Corte Strasburgo prendendo in mano la perizia sulla base della quale il caso era stato archiviato, ha ipotizzato un “eccesso di prudenza” da parte del medico che l’aveva prodotta e di un timore “forse eccessivo e infondato” di conseguenze negative nel caso in cui Matteo fosse stato slegato prima.
“Il principale effetto di questa sentenza sarà dare delle risorse a Matteo per progettare meglio la propria vita -afferma Galliani- e poi speriamo che aiuti gli psichiatri a fare scelte più coraggiose. Mentre resta aperto il problema di regolamentare per ‘contenere la contenzione’, ovvero combatterne l’uso quotidiano”.
Intanto le denunce sulle possibili drammatiche conseguenze di questa pratica arrivano anche sui social. Recentemente il giornalista Lorenzo Sangermano -in un post su Instagram basato su un’esperienza personale- ha raccontato che una ragazza ricoverata nella stanza di fronte alla sua in un reparto psichiatrico di un ospedale della bergamasca aveva ottenuto un rasoio per depilarsi in vista della visita del fidanzato, ma quando aveva saputo che lui non sarebbe più potuto andato a trovarla, l’aveva premuta sulle cosce fino a tagliarsi la pelle.
“Alla riconsegna dello strumento in infermeria, il personale non ha esitato a legarla al letto. La contenzione è proseguita fino a quando un semicerchio di pazienti ha oscurato la porta della ragazza: un uomo ricoverato si era introdotto nella sua stanza e -alla vista di mani, braccia, testa e tronco bloccati- aveva deciso di stuprarla”.
Sangermano sottolinea come il passaggio, ogni 15 minuti, degli infermieri, per controllare come stava la ragazza, non era bastato a proteggerla. “Dopo la pubblicazione del post su Instagram -ci dice giornalista- sono stato contattato da altre persone che avevano vissuto esperienze simili alla mia. In particolare una donna che ha assistito a un episodio di violenza su una ragazza legata”.
Anche Alice Banfi, artista e scrittrice con disturbo borderline, la prima in Italia ad avere il coraggio di denunciare l’uso della contenzione meccanica (in un libro diventato un successo editoriale: “Tanto scappo lo stesso: romanzo di una matta” pubblicato nel 2008 e ora ristampato da Stampa Alternativa), ha parlato di un episodio di abuso sessuale in un ospedale di Milano.
“Ricordo di un infermiere che mentre una ragazza era legata al letto e rintronata dai farmaci l’aveva palpata e toccata in mezzo alle gambe. Ovviamente questo non significa che tutti gli infermieri sono dei maiali, ma che -quando sei legato- sei alla mercé di chiunque”.
Il paradosso è che, nonostante sia definito “dannoso a livello sia fisico sia psicologico” dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), l’atto di legare al letto è giustificato dagli operatori sanitari proprio per una finalità di protezione: per “impedire che il paziente faccia male a sé stesso e ad altri”. La contenzione meccanica è infatti una restrizione della libertà personale ammessa, in base all’articolo 54 del codice penale in casi di straordinaria necessità e urgenza. Ma spesso si lega anche senza che queste condizioni si verifichino.
Banfi racconta che da ragazzina riusciva a slegarsi grazie a polsi molto stretti: “Quando mi slegavo spesso era notte. Mi rannicchiavo sul lato per dormire e speravo che non mi vedessero. E invece venivo ritrovata così e legata di nuovo. Mentre stavo dormendo. Perché? Perché mi sarei potuta tagliare, far male, a qualcuno”.
I racconti di Banfi e Sangermano sollevano il velo di silenzio che generalmente ricopre il tema della contenzione meccanica lacerandosi solo quando qualcuno muore mentre è legato al letto e la sua famiglia decide di denunciare, come avvenuto nei casi di Francesco Mastrogiovanni, deceduto a Vallo della Lucania nel 2009, Elena Casetto, morta a Brescia nel 2019 e Wissem Ben Abdel Latif, spirato a Roma nel 2021.
Mentre non se ne parla, però, l’uso della contenzione meccanica nei reparti psichiatrici ospedalieri -così come nei pronto soccorso e nelle residenze per anziani- aumenta.
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